La nostra seconda tappa è stata nella zona dello Champagne: partiamo con una leggera pioggia nella mattinata da Troyes, graziosa cittadina che sembra fatta di carta, dove le case son di legno e molto vecchie, le une appoggiate alle altre, colorate e tranquille; destinazione Avize, cuore della Champagne e dei Gran Cru del chardonnay.
La nostra prima visita della giornata è all’azienda Champagne Simon-Selosse: la casa-cantina è proprio in centro alla cittadina, il portone è aperto…e un vecchiotto Golden Retriver ci viene incontro scodinzolando pesantemente.
Philippe ci accoglie cordiale e pacato, ci sediamo nella sala degustazione dove come tavolo troviamo una barrique e per vassoio una bottiglia con il colletto ampio di vetro dove si possono appoggiare i bicchieri marchiati.
Parliamo della vendemmia, di come vanno le cose ad Avize e assaggiamo due o tre Champagne dai cinque ettari di proprietà, tutti nel villaggio di Avizè ma parcellizzati in 35 differenti vigneti, il più esteso di 0,33 ettari, il più piccolo di appena 0,01 ettari.
L’azienda e i suoi vini li conosciamo da qualche anno, curioso è stato il racconto della storia della famiglia, che parte dal bisnonno, il quale già dal 1880 aveva un orto che gradualmente trasformò in vigneto per vendere in un primo momento le uve.
Originario di Reims si appassionò del lavoro di cantina, divenendo negli anni chef di cantina nella famosa Pommery, si trasferì con la famiglia ad Avize nel 1914, comprando la casa e poche vigne.
Con la grande crisi del 1929 nessuno riusciva più a vendere Champagne, l’America era il più grande compratore e le grandi Maison furono costrette a non comprare più le uve dai propri vignaioli: fu così che molti si rimboccarono le maniche ed iniziarono a vinificare le proprie uve. Così fece il nonno di Philippe che iniziò la storia dell’azienda in quegli anni: per sostenere le vendite partiva in bici o in treno per Parigi, facendo la vendita porta a porta!
Negli anni Sessanta il padre di Philipe iniziò l’esportazione e ad ampliare il proprio lavoro, acquistando macchinari più moderni come il trattore per le vigne o la pressa verticale (tipica dello Champagne, anche se secondo Philipe non e’ molto buona per via della grande ossidazione a cui si rischia di andare incontro oltre che ad altri inconvenienti, ad oggi lui utilizza la pressa pneumatica orrizontale).
L’azienda Simon- Selosse e’ attenta e sensibile ad una coltivazione consapevole e nel limite del possibile non invasiva.
A pochi chilometri da Epernay facciamo visita a Champagne Laherte-Freres, nel villaggio di Chavot, ad accoglierci il giovane Aurelien, quinta generazione della famiglia che porta avanti con convinzione la ricerca per la qualità e per la naturalità, assieme al padre, la madre e lo zio.
Dieci ettari vitati su una sessantina di differenti parcelle, tenuti con cura e trattati con i dettami della biodinamica, viti mediamente vecchie, tra i venti e i cinquant’anni: il padre stava seguendo con molta attenzione un operaio durante la potatura, tanto da non fare neppure caso ai visitatori italiani.
Le due presse tradizionali ci aprono la visita in cantina, seguita dall’assaggio delle basi direttamente dalle barrique: sono tutti dei vini puliti e ben strutturati, composti per lo più da pinot meunier e pinot noir, con uno spettro aromatico e minerale ben articolato, non basati soltanto sull’acidità e la crudezza.
Vini appunto, non semplici basi da trattare poi con le due rifermentazioni; qui capiamo l’attenzione per il vignaiolo alle singole parcelle e varietà di uva, alla volontà di fare prima un buon vino, per poi arrivare a champagne di grande livello. La tendenza poi a tenere molto bassi i dosaggi nella sboccatura finale spiega come l’azienda voglia esprimere al meglio il proprio terroir, valorizzandolo al meglio, dalla vigna alla cantina.
Dopo la dormita in città, la mattina seguente ci spostiamo ad ovest, verso Parigi, nel comune di Crouttes-sur-Marne, per far visita ad un giovane produttore, Jerome Bourgeois-Diaz: sette gli ettari vitati per lo più a pinot meunier (55%) e pinot noir (30%), con un po’ di chardonnay (15%).
Soltanto cinque ettari vengono vinificati, quelli che dal 2009 sono in conversione biodinamica, per un totale di 45.000 bottiglie prodotte: dal 2014 tutte le cuveè commercializzate verranno da uve certificate, anche se fin dal 2000, primo anno di vinificazione, non vengono usati diserbanti né concimi chimici.
Le intenzioni di Jerome sono chiare ed anche la sua franchezza: nel corso degli anni arriverà a produrre con sole uve in biologico e trattate anche con i prodotti biodinamici, i lieviti per la prima vinificazione sono da anni indigeni e le fermentazioni avvengono spontaneamente; sta inoltre passando dalle cuveè in acciaio, che manterrà per il brut base, all’uso della barrique per avere vini più complessi ed armoniosi; infine vuole arrivare ad abbassare i dosaggi di zucchero nella fase di sboccatura, per avere champagne ancora più autentici e vinosi.
Intenti e promesse mantenute dalle parole di presentazione dell’azienda e dai vini degustati in precedenza: un brut semplice e chiaro, con una buona acidità, abbastanza morbido; un rosè più strutturato e vinoso, minerale e fresco, dalla grande fragranza e profumi floreali; intensi ed importanti il millesimato 2005 e la cuveè du fils, vinificati in barrique e maturati sui lieviti per almeno quattro anni.
Jerome Bourgeois ci ha convinti per la sua umiltà e chiarezza, crediamo che nei prossimi anni saprà regalarci grandi cose, intanto ci gusteremo le sue bollicine con piacere: arriveranno a giorni nel nostro magazzino i suoi Champagne!
La nostra seconda tappa è stata nella zona dello Champagne: partiamo con una leggera pioggia nella mattinata da Troyes, graziosa cittadina che sembra fatta di carta, dove le case son di legno e molto vecchie, le une appoggiate alle altre, colorate e tranquille; destinazione Avize, cuore della Champagne e dei Gran Cru del chardonnay.
La nostra prima visita della giornata è all’azienda Champagne Simon-Selosse: la casa-cantina è proprio in centro alla cittadina, il portone è aperto…e un vecchiotto Golden Retriver ci viene incontro scodinzolando pesantemente.
Philippe ci accoglie cordiale e pacato, ci sediamo nella sala degustazione dove come tavolo troviamo una barrique e per vassoio una bottiglia con il colletto ampio di vetro dove si possono appoggiare i bicchieri marchiati.
Parliamo della vendemmia, di come vanno le cose ad Avize e assaggiamo due o tre Champagne dai cinque ettari di proprietà, tutti nel villaggio di Avizè ma parcellizzati in 35 differenti vigneti, il più esteso di 0,33 ettari, il più piccolo di appena 0,01 ettari.
L’azienda e i suoi vini li conosciamo da qualche anno, curioso è stato il racconto della storia della famiglia, che parte dal bisnonno, il quale già dal 1880 aveva un orto che gradualmente trasformò in vigneto per vendere in un primo momento le uve.
Originario di Reims si appassionò del lavoro di cantina, divenendo negli anni chef di cantina nella famosa Pommery, si trasferì con la famiglia ad Avize nel 1914, comprando la casa e poche vigne.
Con la grande crisi del 1929 nessuno riusciva più a vendere Champagne, l’America era il più grande compratore e le grandi Maison furono costrette a non comprare più le uve dai propri vignaioli: fu così che molti si rimboccarono le maniche ed iniziarono a vinificare le proprie uve. Così fece il nonno di Philippe che iniziò la storia dell’azienda in quegli anni: per sostenere le vendite partiva in bici o in treno per Parigi, facendo la vendita porta a porta!
Negli anni Sessanta il padre di Philipe iniziò l’esportazione e ad ampliare il proprio lavoro, acquistando macchinari più moderni come il trattore per le vigne o la pressa verticale (tipica dello Champagne, anche se secondo Philipe non e’ molto buona per via della grande ossidazione a cui si rischia di andare incontro oltre che ad altri inconvenienti, ad oggi lui utilizza la pressa pneumatica orrizontale).
L’azienda Simon- Selosse e’ attenta e sensibile ad una coltivazione consapevole e nel limite del possibile non invasiva.
A pochi chilometri da Epernay facciamo visita a Champagne Laherte-Freres, nel villaggio di Chavot, ad accoglierci il giovane Aurelien, quinta generazione della famiglia che porta avanti con convinzione la ricerca per la qualità e per la naturalità, assieme al padre, la madre e lo zio.
Dieci ettari vitati su una sessantina di differenti parcelle, tenuti con cura e trattati con i dettami della biodinamica, viti mediamente vecchie, tra i venti e i cinquant’anni: il padre stava seguendo con molta attenzione un operaio durante la potatura, tanto da non fare neppure caso ai visitatori italiani.
Le due presse tradizionali ci aprono la visita in cantina, seguita dall’assaggio delle basi direttamente dalle barrique: sono tutti dei vini puliti e ben strutturati, composti per lo più da pinot meunier e pinot noir, con uno spettro aromatico e minerale ben articolato, non basati soltanto sull’acidità e la crudezza.
Vini appunto, non semplici basi da trattare poi con le due rifermentazioni; qui capiamo l’attenzione per il vignaiolo alle singole parcelle e varietà di uva, alla volontà di fare prima un buon vino, per poi arrivare a champagne di grande livello. La tendenza poi a tenere molto bassi i dosaggi nella sboccatura finale spiega come l’azienda voglia esprimere al meglio il proprio terroir, valorizzandolo al meglio, dalla vigna alla cantina.
Dopo la dormita in città, la mattina seguente ci spostiamo ad ovest, verso Parigi, nel comune di Crouttes-sur-Marne, per far visita ad un giovane produttore, Jerome Bourgeois-Diaz: sette gli ettari vitati per lo più a pinot meunier (55%) e pinot noir (30%), con un po’ di chardonnay (15%).
Soltanto cinque ettari vengono vinificati, quelli che dal 2009 sono in conversione biodinamica, per un totale di 45.000 bottiglie prodotte: dal 2014 tutte le cuveè commercializzate verranno da uve certificate, anche se fin dal 2000, primo anno di vinificazione, non vengono usati diserbanti né concimi chimici.
Le intenzioni di Jerome sono chiare ed anche la sua franchezza: nel corso degli anni arriverà a produrre con sole uve in biologico e trattate anche con i prodotti biodinamici, i lieviti per la prima vinificazione sono da anni indigeni e le fermentazioni avvengono spontaneamente; sta inoltre passando dalle cuveè in acciaio, che manterrà per il brut base, all’uso della barrique per avere vini più complessi ed armoniosi; infine vuole arrivare ad abbassare i dosaggi di zucchero nella fase di sboccatura, per avere champagne ancora più autentici e vinosi.
Intenti e promesse mantenute dalle parole di presentazione dell’azienda e dai vini degustati in precedenza: un brut semplice e chiaro, con una buona acidità, abbastanza morbido; un rosè più strutturato e vinoso, minerale e fresco, dalla grande fragranza e profumi floreali; intensi ed importanti il millesimato 2005 e la cuveè du fils, vinificati in barrique e maturati sui lieviti per almeno quattro anni.
Jerome Bourgeois ci ha convinti per la sua umiltà e chiarezza, crediamo che nei prossimi anni saprà regalarci grandi cose, intanto ci gusteremo le sue bollicine con piacere: arriveranno a giorni nel nostro magazzino i suoi Champagne!