La nostra seconda tappa è stata nella zona dello Champagne: partiamo con una leggera pioggia nella mattinata da Troyes, graziosa cittadina che sembra fatta di carta, dove le case son di legno e molto vecchie, le une appoggiate alle altre, colorate e tranquille; destinazione Avize, cuore della Champagne e dei Gran Cru del chardonnay.

La nostra prima visita della giornata è all’azienda Champagne Simon-Selosse: la casa-cantina è proprio in centro alla cittadina, il portone è aperto…e un vecchiotto Golden Retriver ci viene incontro scodinzolando pesantemente.

Philippe ci accoglie cordiale e pacato, ci sediamo nella sala degustazione dove come tavolo troviamo una barrique e per vassoio una bottiglia con il colletto ampio di vetro dove si possono appoggiare i bicchieri marchiati.

Parliamo della vendemmia, di come vanno le cose ad Avize e assaggiamo due o tre Champagne dai cinque ettari di proprietà, tutti nel villaggio di Avizè ma parcellizzati in 35 differenti vigneti, il più esteso di 0,33 ettari, il più piccolo di appena 0,01 ettari.

L’azienda e i suoi vini li conosciamo da qualche anno, curioso è stato il racconto della storia della famiglia, che parte dal bisnonno, il quale già dal 1880 aveva un orto che gradualmente trasformò in vigneto per vendere in un primo momento le uve.

Originario di Reims si appassionò del lavoro di cantina, divenendo negli anni chef di cantina nella famosa Pommery, si trasferì con la famiglia ad Avize nel 1914, comprando la casa e poche vigne.

Con la grande crisi del 1929 nessuno riusciva più a vendere Champagne, l’America era il più grande compratore e le grandi Maison furono costrette a non comprare più le uve dai propri vignaioli: fu così che molti si rimboccarono le maniche ed iniziarono a vinificare le proprie uve. Così fece il nonno di Philippe che iniziò la storia dell’azienda in quegli anni: per sostenere le vendite partiva in bici o in treno per Parigi, facendo la vendita porta a porta!

Negli anni Sessanta il padre di Philipe iniziò l’esportazione e ad ampliare il proprio lavoro, acquistando macchinari più moderni come il trattore per le vigne o la pressa verticale (tipica dello Champagne, anche se secondo Philipe non e’ molto buona per via della grande ossidazione a cui si rischia di andare incontro oltre che ad altri inconvenienti, ad oggi lui utilizza la pressa pneumatica orrizontale).

L’azienda Simon- Selosse e’ attenta e sensibile ad una coltivazione consapevole e nel limite del possibile non invasiva.

A pochi chilometri da Epernay facciamo visita a Champagne Laherte-Freres, nel villaggio di Chavot, ad accoglierci il giovane Aurelien, quinta generazione della famiglia che porta avanti con convinzione la ricerca per la qualità e per la naturalità, assieme al padre, la madre e lo zio.

Dieci ettari vitati su una sessantina di differenti parcelle, tenuti con cura e trattati con i dettami della biodinamica, viti mediamente vecchie, tra i venti e i cinquant’anni: il padre stava seguendo con molta attenzione un operaio durante la potatura, tanto da non fare neppure caso ai visitatori italiani.

Le due presse tradizionali ci aprono la visita in cantina, seguita dall’assaggio delle basi direttamente dalle barrique: sono tutti dei vini puliti e ben strutturati, composti per lo più da pinot meunier e pinot noir, con uno spettro aromatico e minerale ben articolato, non basati soltanto sull’acidità e la crudezza.

Vini appunto, non semplici basi da trattare poi con le due rifermentazioni; qui capiamo l’attenzione per il vignaiolo alle singole parcelle e varietà di uva, alla volontà di fare prima un buon vino, per poi arrivare a champagne di grande livello. La tendenza poi a tenere molto bassi i dosaggi nella sboccatura finale spiega come l’azienda voglia esprimere al meglio il proprio terroir, valorizzandolo al meglio, dalla vigna alla cantina.

Dopo la dormita in città, la mattina seguente ci spostiamo ad ovest, verso Parigi, nel comune di Crouttes-sur-Marne, per far visita ad un giovane produttore, Jerome Bourgeois-Diaz: sette gli ettari vitati per lo più a pinot meunier (55%) e pinot noir (30%), con un po’ di chardonnay (15%).

Soltanto cinque ettari vengono vinificati, quelli che dal 2009 sono in conversione biodinamica, per un totale di 45.000 bottiglie prodotte: dal 2014 tutte le cuveè commercializzate verranno da uve certificate, anche se fin dal 2000, primo anno di vinificazione, non vengono usati diserbanti né concimi chimici.

Le intenzioni di Jerome sono chiare ed anche la sua franchezza: nel corso degli anni arriverà a produrre con sole uve in biologico e trattate anche con i prodotti biodinamici, i lieviti per la prima vinificazione sono da anni indigeni e le fermentazioni avvengono spontaneamente; sta inoltre passando dalle cuveè in acciaio, che manterrà per il brut base, all’uso della barrique per avere vini più complessi ed armoniosi; infine vuole arrivare ad abbassare i dosaggi di zucchero nella fase di sboccatura, per avere champagne ancora più autentici e vinosi.

Intenti e promesse mantenute dalle parole di presentazione dell’azienda e dai vini degustati in precedenza: un brut semplice e chiaro, con una buona acidità, abbastanza morbido; un rosè più strutturato e vinoso, minerale e fresco, dalla grande fragranza e profumi floreali; intensi ed importanti il millesimato 2005 e la cuveè du fils, vinificati in barrique e maturati sui lieviti per almeno quattro anni.

Jerome Bourgeois ci ha convinti per la sua umiltà e chiarezza, crediamo che nei prossimi anni saprà regalarci grandi cose, intanto ci gusteremo le sue bollicine con piacere: arriveranno a giorni nel nostro magazzino i suoi Champagne!


La nostra seconda tappa è stata nella zona dello Champagne: partiamo con una leggera pioggia nella mattinata da Troyes, graziosa cittadina che sembra fatta di carta, dove le case son di legno e molto vecchie, le une appoggiate alle altre, colorate e tranquille; destinazione Avize, cuore della Champagne e dei Gran Cru del chardonnay.

La nostra prima visita della giornata è all’azienda Champagne Simon-Selosse: la casa-cantina è proprio in centro alla cittadina, il portone è aperto…e un vecchiotto Golden Retriver ci viene incontro scodinzolando pesantemente.

Philippe ci accoglie cordiale e pacato, ci sediamo nella sala degustazione dove come tavolo troviamo una barrique e per vassoio una bottiglia con il colletto ampio di vetro dove si possono appoggiare i bicchieri marchiati.

Parliamo della vendemmia, di come vanno le cose ad Avize e assaggiamo due o tre Champagne dai cinque ettari di proprietà, tutti nel villaggio di Avizè ma parcellizzati in 35 differenti vigneti, il più esteso di 0,33 ettari, il più piccolo di appena 0,01 ettari.

L’azienda e i suoi vini li conosciamo da qualche anno, curioso è stato il racconto della storia della famiglia, che parte dal bisnonno, il quale già dal 1880 aveva un orto che gradualmente trasformò in vigneto per vendere in un primo momento le uve.

Originario di Reims si appassionò del lavoro di cantina, divenendo negli anni chef di cantina nella famosa Pommery, si trasferì con la famiglia ad Avize nel 1914, comprando la casa e poche vigne.

Con la grande crisi del 1929 nessuno riusciva più a vendere Champagne, l’America era il più grande compratore e le grandi Maison furono costrette a non comprare più le uve dai propri vignaioli: fu così che molti si rimboccarono le maniche ed iniziarono a vinificare le proprie uve. Così fece il nonno di Philippe che iniziò la storia dell’azienda in quegli anni: per sostenere le vendite partiva in bici o in treno per Parigi, facendo la vendita porta a porta!

Negli anni Sessanta il padre di Philipe iniziò l’esportazione e ad ampliare il proprio lavoro, acquistando macchinari più moderni come il trattore per le vigne o la pressa verticale (tipica dello Champagne, anche se secondo Philipe non e’ molto buona per via della grande ossidazione a cui si rischia di andare incontro oltre che ad altri inconvenienti, ad oggi lui utilizza la pressa pneumatica orrizontale).

L’azienda Simon- Selosse e’ attenta e sensibile ad una coltivazione consapevole e nel limite del possibile non invasiva.

A pochi chilometri da Epernay facciamo visita a Champagne Laherte-Freres, nel villaggio di Chavot, ad accoglierci il giovane Aurelien, quinta generazione della famiglia che porta avanti con convinzione la ricerca per la qualità e per la naturalità, assieme al padre, la madre e lo zio.

Dieci ettari vitati su una sessantina di differenti parcelle, tenuti con cura e trattati con i dettami della biodinamica, viti mediamente vecchie, tra i venti e i cinquant’anni: il padre stava seguendo con molta attenzione un operaio durante la potatura, tanto da non fare neppure caso ai visitatori italiani.

Le due presse tradizionali ci aprono la visita in cantina, seguita dall’assaggio delle basi direttamente dalle barrique: sono tutti dei vini puliti e ben strutturati, composti per lo più da pinot meunier e pinot noir, con uno spettro aromatico e minerale ben articolato, non basati soltanto sull’acidità e la crudezza.

Vini appunto, non semplici basi da trattare poi con le due rifermentazioni; qui capiamo l’attenzione per il vignaiolo alle singole parcelle e varietà di uva, alla volontà di fare prima un buon vino, per poi arrivare a champagne di grande livello. La tendenza poi a tenere molto bassi i dosaggi nella sboccatura finale spiega come l’azienda voglia esprimere al meglio il proprio terroir, valorizzandolo al meglio, dalla vigna alla cantina.

Dopo la dormita in città, la mattina seguente ci spostiamo ad ovest, verso Parigi, nel comune di Crouttes-sur-Marne, per far visita ad un giovane produttore, Jerome Bourgeois-Diaz: sette gli ettari vitati per lo più a pinot meunier (55%) e pinot noir (30%), con un po’ di chardonnay (15%).

Soltanto cinque ettari vengono vinificati, quelli che dal 2009 sono in conversione biodinamica, per un totale di 45.000 bottiglie prodotte: dal 2014 tutte le cuveè commercializzate verranno da uve certificate, anche se fin dal 2000, primo anno di vinificazione, non vengono usati diserbanti né concimi chimici.

Le intenzioni di Jerome sono chiare ed anche la sua franchezza: nel corso degli anni arriverà a produrre con sole uve in biologico e trattate anche con i prodotti biodinamici, i lieviti per la prima vinificazione sono da anni indigeni e le fermentazioni avvengono spontaneamente; sta inoltre passando dalle cuveè in acciaio, che manterrà per il brut base, all’uso della barrique per avere vini più complessi ed armoniosi; infine vuole arrivare ad abbassare i dosaggi di zucchero nella fase di sboccatura, per avere champagne ancora più autentici e vinosi.

Intenti e promesse mantenute dalle parole di presentazione dell’azienda e dai vini degustati in precedenza: un brut semplice e chiaro, con una buona acidità, abbastanza morbido; un rosè più strutturato e vinoso, minerale e fresco, dalla grande fragranza e profumi floreali; intensi ed importanti il millesimato 2005 e la cuveè du fils, vinificati in barrique e maturati sui lieviti per almeno quattro anni.

Jerome Bourgeois ci ha convinti per la sua umiltà e chiarezza, crediamo che nei prossimi anni saprà regalarci grandi cose, intanto ci gusteremo le sue bollicine con piacere: arriveranno a giorni nel nostro magazzino i suoi Champagne!


Partiti all’alba prima che si alzasse il sole, attraversata la nebbiosa pianura padana, le alpi e risalito il Rodano, poche e fugaci le pause per arrivare in tempo all’appuntamento con Monsieur Aubert de Villaine, alla Domaine de la Romanée-Conti; ovvero la Borgogna.

Siamo arrivati un’ora in anticipo, giusto il tempo per sgranchirci le gambe tra i Grand Cru di La Tâche e Romanèe Conti, murati dai monaci del convento di St. Vivant fin dal XIII secolo e curati come giardini inglesi, con le loro viti ultracinquantenni allevate a guyot, seguendo i migliori principi della viticoltura biologica e biodinamica.

Ci ricevono negli uffici del rinnovato convento al numero uno di Place de l’Eglise, un tempo cantina e magazzino della Domaine, oggi moderno edificio che ospita gli uffici e le sale di degustazione, molto solare e di stile: Aubert è nell’ultimo piano, con le finestre che guardano a ovest, verso i migliori Grand Cru.

All’inizio siamo molto imbarazzati, ma dopo pochi minuti sembra davvero di parlare con un vignaiolo che conosci da tempo: parliamo di biologico, malattie della vigna, suolo, clima, stagioni, selezione delle uve e vinificazioni. Si illumina quando racconto della sperimentazione portata avanti dall’associazione VinNatur per eliminare rame e zolfo (oltre a qualsiasi pesticida) e addirittura prende qualche appunto.

Un insegnamento saggio, che condividiamo da tempo: la biodinamica serve, aiuta molto, ma meglio bandire qualsiasi forma di esoterismo e viaggio nel trascendentale o nell’astrologia.

L’importanza massima data al suolo e al climat di ogni singola parcella, la cura nella selezione dei grappoli, nel momento della vendemmia e poi in cantina, la consapevolezza e la sincerità nell’affermare che se si è bravi ma anche fortunati, un’annata buona davvero arriva ogni cinque o sei anni. E in cantina allora devi fare il meno possibile.

Ci ha colpito, oltre all’umiltà e alla disponibilità al confronto, il suo sguardo: penetrante e intenso ma non invadente, anzi elegante, come se volesse cercare qualcosa, a fondo ma con grazia e finezza, da vero contadino, nobile ed austero.


Terminiamo la visita con il simpatico e competente nipote, Bertrand de Villaine, che ci accompagna tre piani più in basso, in una delle cantine di affinamento della Domaine de la Romanée-Conti , anch’essa restaurata di recente ed allargata con tre nuove stanze, dove stanno evolvendo in barrique rigorosamente nuove tutti i Grand Cru dell’annata appena passata: pulitissima e ordinata, ma con quell’odore e fascino antichi che raramente si possono trovare.

All’uscita spunta il sole, assieme al sorriso sui nostri volti; giusto il tempo per un paio di foto e correre a Troyes, sosta per la prossima tappa, quella in Champagne.

A scaldarci e rifocillarci ci pensa un bistrò, bar a vin molto bello, con tanti bei vini naturali, Aux Crieurs de vin: cucina senza lode né infamia, abbiamo scelto un pinot noir di Borgogna semplice, diretto e di buona beva di Catherine e Dominique Derain e concluso con un caffè migliore che in Italia dell’amico Hippolyte, l’Arbre a cafè.

Le vigne del grand cru Romanèe Conti, 1,8 ettari.

Lo storico cancello rosso, la cantina con lo stock di bottiglie.


Partiti all’alba prima che si alzasse il sole, attraversata la nebbiosa pianura padana, le alpi e risalito il Rodano, poche e fugaci le pause per arrivare in tempo all’appuntamento con Monsieur Aubert de Villaine, alla Domaine de la Romanée-Conti; ovvero la Borgogna.

Siamo arrivati un’ora in anticipo, giusto il tempo per sgranchirci le gambe tra i Grand Cru di La Tâche e Romanèe Conti, murati dai monaci del convento di St. Vivant fin dal XIII secolo e curati come giardini inglesi, con le loro viti ultracinquantenni allevate a guyot, seguendo i migliori principi della viticoltura biologica e biodinamica.

Ci ricevono negli uffici del rinnovato convento al numero uno di Place de l’Eglise, un tempo cantina e magazzino della Domaine, oggi moderno edificio che ospita gli uffici e le sale di degustazione, molto solare e di stile: Aubert è nell’ultimo piano, con le finestre che guardano a ovest, verso i migliori Grand Cru.

All’inizio siamo molto imbarazzati, ma dopo pochi minuti sembra davvero di parlare con un vignaiolo che conosci da tempo: parliamo di biologico, malattie della vigna, suolo, clima, stagioni, selezione delle uve e vinificazioni. Si illumina quando racconto della sperimentazione portata avanti dall’associazione VinNatur per eliminare rame e zolfo (oltre a qualsiasi pesticida) e addirittura prende qualche appunto.

Un insegnamento saggio, che condividiamo da tempo: la biodinamica serve, aiuta molto, ma meglio bandire qualsiasi forma di esoterismo e viaggio nel trascendentale o nell’astrologia.

L’importanza massima data al suolo e al climat di ogni singola parcella, la cura nella selezione dei grappoli, nel momento della vendemmia e poi in cantina, la consapevolezza e la sincerità nell’affermare che se si è bravi ma anche fortunati, un’annata buona davvero arriva ogni cinque o sei anni. E in cantina allora devi fare il meno possibile.

Ci ha colpito, oltre all’umiltà e alla disponibilità al confronto, il suo sguardo: penetrante e intenso ma non invadente, anzi elegante, come se volesse cercare qualcosa, a fondo ma con grazia e finezza, da vero contadino, nobile ed austero.


Terminiamo la visita con il simpatico e competente nipote, Bertrand de Villaine, che ci accompagna tre piani più in basso, in una delle cantine di affinamento della Domaine de la Romanée-Conti , anch’essa restaurata di recente ed allargata con tre nuove stanze, dove stanno evolvendo in barrique rigorosamente nuove tutti i Grand Cru dell’annata appena passata: pulitissima e ordinata, ma con quell’odore e fascino antichi che raramente si possono trovare.

All’uscita spunta il sole, assieme al sorriso sui nostri volti; giusto il tempo per un paio di foto e correre a Troyes, sosta per la prossima tappa, quella in Champagne.

A scaldarci e rifocillarci ci pensa un bistrò, bar a vin molto bello, con tanti bei vini naturali, Aux Crieurs de vin: cucina senza lode né infamia, abbiamo scelto un pinot noir di Borgogna semplice, diretto e di buona beva di Catherine e Dominique Derain e concluso con un caffè migliore che in Italia dell’amico Hippolyte, l’Arbre a cafè.

Le vigne del grand cru Romanèe Conti, 1,8 ettari.

Lo storico cancello rosso, la cantina con lo stock di bottiglie.

[:it]Il regista somellier con i film e i vini che ama

Jonathan Nossiter in collaborazione con la Cineteca di Bologna presenta dieci film, abbinati a dieci viticoltori con i loro vini, che rappresentano il suo stile, la sua filosofia di vita, la ricerca della verità senza se e senza ma, la sua visione del mondo.

Regista e somellier, coniuga le sue due passioni con il documentario Mondovino, uscito nel 2004 ma ancora attuale, che fece rumore perchè mise a nudo i meccanismi della globalizzazione applicata al mondo del vino: mercato, moda, guide e grandi società che speculano vengono prima dell’uva e dei vignaioli.

Da poco trasferitosi in Italia, già fa parlare di sè sul web e in radio con un articolo al vetriolo sui ricarichi dei vini nei ristoranti e sull’oligopolio che le grandi case viticole hanno nel mercato di ogni regione: alcune tra le cause dell’appiattimento dei gusti e specchio della crisi di valori e culturale della società, della politica e dell’economia italiana.

Valori che vorrebbe recuperare partendo dalle cose semplici e piacevoli, ma che in fondo sono cariche di significati e messaggi eticamente validi per un futuro migliore, come il cinema d’autore e i vini cosiddetti naturali.

Da qui l’originale iniziativa di abbinare film e registi a vini e contadini; di seguito la presentazione di Nossiter dell’evento, organizzato con la Cineteca di Bologna e che parte giovedì 19 gennaio con Rio Sex Comedy, l’ultimo suo film:

Che c’entra il vino con il cinema? Che c’entra l’ubriachezza con la lucidità o la commedia con l’impegno, piaceri golosi con riflessioni profonde?
In un momento di crisi radicale non mi sembra così folle mischiare, senza pudore, un’arte che ci fa viaggiare lontano con storie profonde e magiche (il vino, intendo) con un altro piacere che forse abbiamo dimenticato quanto possa renderci più festosi e più illuminati (eh sì, sto parlando del vecchio ‘Snaporaz’, il cinema).
Con gli amici della Cineteca abbiamo dunque pensato di accostare la luce dello schermo a quella del vino in un bicchiere, l’atto sensuale e goloso del bere con quello (altrettanto sensuale) di godere collettivamente di una pellicola in 35mm. Insomma, un’orgia!
A parte il mio ultimo film che la Cineteca ha insistito per proporre come aperitivo, per capire i difetti del curatore prima di cominciare questo viaggio, io cercavo nove gesti liberi di cinema per altrettanti viticoltori liberi. In un momento in cui la libertà vera rappresenta sicuramente una minaccia per alcuni, può portare speranza per altri.
Per tre week-end nel cuore dell’inverno vi porteremo dalle spiagge brasiliane (per finire mangiato, se sei francese, dagli indigeni cannibali), al Giappone (per capire quanto la loro mafia ci rassomiglia), alla Germania (per vedere le radici storiche della nostra crisi), a Gerusalemme (per incontrare l’amico Brian al posto di Gesù), alla Bolivia (alla caccia di un nazista conosciuto come ‘il macellaio di Lione’) e ancora verso altre destinazioni poco prevedibili.
Volevo soprattutto abbinare capolavori del cinema radicali e (im)pertinenti – e sono quasi tutti commedie – con viticoltori altrettanto impegnati, innovatori e gioiosi, proponendovi il piacere di vedere il film sorseggiando un bicchiere di vino per poi discutere con il regista (nei casi in cui avremo l’onore di poterlo ospitare) e un viticoltore, per affrontare insieme il bisogno di risposte radicali al nostro mondo.
Il filosofo francese Michel Serres sostiene che nei secoli passati l’intelligenza per capire dove il mondo stava andando si trovava nelle città, mentre i contadini erano piuttosto ignoranti. Oggi dice che è il contrario: chi abita in città non capisce più nulla, mentre è il contadino che è capace di intuire dove potremmo o dovremmo andare.

Jonathan Nossiter

[:en]

Il regista somellier con i film e i vini che ama

Jonathan Nossiter in collaborazione con la Cineteca di Bologna presenta dieci film, abbinati a dieci viticoltori con i loro vini, che rappresentano il suo stile, la sua filosofia di vita, la ricerca della verità senza se e senza ma, la sua visione del mondo.

Regista e somellier, coniuga le sue due passioni con il documentario Mondovino, uscito nel 2004 ma ancora attuale, che fece rumore perchè mise a nudo i meccanismi della globalizzazione applicata al mondo del vino: mercato, moda, guide e grandi società che speculano vengono prima dell’uva e dei vignaioli.

Da poco trasferitosi in Italia, già fa parlare di sè sul web e in radio con un articolo al vetriolo sui ricarichi dei vini nei ristoranti e sull’oligopolio che le grandi case viticole hanno nel mercato di ogni regione: alcune tra le cause dell’appiattimento dei gusti e specchio della crisi di valori e culturale della società, della politica e dell’economia italiana.

Valori che vorrebbe recuperare partendo dalle cose semplici e piacevoli, ma che in fondo sono cariche di significati e messaggi eticamente validi per un futuro migliore, come il cinema d’autore e i vini cosiddetti naturali.

Da qui l’originale iniziativa di abbinare film e registi a vini e contadini; di seguito la presentazione di Nossiter dell’evento, organizzato con la Cineteca di Bologna e che parte giovedì 19 gennaio con Rio Sex Comedy, l’ultimo suo film:

Che c’entra il vino con il cinema? Che c’entra l’ubriachezza con la lucidità o la commedia con l’impegno, piaceri golosi con riflessioni profonde?
In un momento di crisi radicale non mi sembra così folle mischiare, senza pudore, un’arte che ci fa viaggiare lontano con storie profonde e magiche (il vino, intendo) con un altro piacere che forse abbiamo dimenticato quanto possa renderci più festosi e più illuminati (eh sì, sto parlando del vecchio ‘Snaporaz’, il cinema).
Con gli amici della Cineteca abbiamo dunque pensato di accostare la luce dello schermo a quella del vino in un bicchiere, l’atto sensuale e goloso del bere con quello (altrettanto sensuale) di godere collettivamente di una pellicola in 35mm. Insomma, un’orgia!
A parte il mio ultimo film che la Cineteca ha insistito per proporre come aperitivo, per capire i difetti del curatore prima di cominciare questo viaggio, io cercavo nove gesti liberi di cinema per altrettanti viticoltori liberi. In un momento in cui la libertà vera rappresenta sicuramente una minaccia per alcuni, può portare speranza per altri.
Per tre week-end nel cuore dell’inverno vi porteremo dalle spiagge brasiliane (per finire mangiato, se sei francese, dagli indigeni cannibali), al Giappone (per capire quanto la loro mafia ci rassomiglia), alla Germania (per vedere le radici storiche della nostra crisi), a Gerusalemme (per incontrare l’amico Brian al posto di Gesù), alla Bolivia (alla caccia di un nazista conosciuto come ‘il macellaio di Lione’) e ancora verso altre destinazioni poco prevedibili.
Volevo soprattutto abbinare capolavori del cinema radicali e (im)pertinenti – e sono quasi tutti commedie – con viticoltori altrettanto impegnati, innovatori e gioiosi, proponendovi il piacere di vedere il film sorseggiando un bicchiere di vino per poi discutere con il regista (nei casi in cui avremo l’onore di poterlo ospitare) e un viticoltore, per affrontare insieme il bisogno di risposte radicali al nostro mondo.
Il filosofo francese Michel Serres sostiene che nei secoli passati l’intelligenza per capire dove il mondo stava andando si trovava nelle città, mentre i contadini erano piuttosto ignoranti. Oggi dice che è il contrario: chi abita in città non capisce più nulla, mentre è il contadino che è capace di intuire dove potremmo o dovremmo andare.

Jonathan Nossiter

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