Il primo relatore che interverrà al The Natural Wine Challenge 2019 sarà Federico Giotto, enologo trevigiano virtuoso e all’avanguardia, sempre molto attivo nel suo laboratorio Giotto Consulting a livello di ricerca e sperimentazione. Amante del design, delle innovazioni tecnologiche e della barca a vela nel tempo libero.

Nato a Conegliano (TV) il 03 ottobre 1977, vive a Follina (TV) nel cuore delle colline trevigiane. Il suo percorso formativo inizia presso la Scuola di Viticoltura ed Enologia Cerletti di Conegliano Veneto ottenendo il diploma di enotecnico, proseguendo poi con la laurea in enologia conseguita a pieni voti presso l’Università degli Studi di Padova.

Ancora studente prende il via la sua carriera di enologo come libero professionista collaborando con alcune importanti realtà italiane, fino al 2006 quando fonda la “GiottoConsulting srl” a Follina (TV), centro di consulenza, ricerca e formazione in ambito enologico e viticolo. Oggi l’azienda è composta da un team di dieci professionisti e collabora con una trentina di aziende in tutta Italia e all’estero, ottenendo prestigiosi riconoscimenti a livello nazionale e internazionale.

Di cosa ci parlerà?

Di come ottenere il meglio da un terroir e di come fare vini di qualità, rispettando il più possibile l’ambiente e intervenendo il meno possibile in cantina.

La naturalità è un elemento imprescindibile. Dobbiamo capire però le cose di cui abbiamo bisogno per riuscire ad arrivare alla naturalità senza intaccare l’identità del vino.

Il difetto enologico non è identità.

Il produttore e l’enologo del futuro dovranno avere la sensibilità e la capacità di arrivare ad un vino naturale che si integro e lontano dai difetti più comuni capace di esprimere fino in fondo il territorio di appartenenza senza cadere nell’oblio del gusto omologato. Dovranno sapere esprimere identità del territorio e talento della vigna; per questo bisogna saper capire come alcuni processi produttivi possono essere attuati solo in alcuni posti. Il terroir è quell’elemento che fa esprimere un talento. Quel talento va liquefatto e riscoperto.

Se riusciamo a raggiungere questo obiettivo allora il vino italiano sarà davvero unico e irrinunciabile.

 

 

Di seguito l’intervista che ci ha concesso:

 

D. Federico, quando e perché hai deciso di diventare un enologo?

Come spesso accade le nostre scelte sono anche frutto del caso: quando avevo quattro anni, dopo la morte di mio padre, mia madre decise di comprare una piccola campagna nelle colline di Valdobbiadene con lo scopo di dare a me e mia sorella una qualche forma di sostentamento. Crescendo in quel luogo magico, dove ora è la sede la GiottoConsulting, non fu difficile innamorarmi della vigna e del vino e intraprendere gli studi di enologia fu una conseguenza del tutto naturale.

 

D. Quale può essere il ruolo di un enologo moderno?

Elogiato e idolatrato prima, mistificato poi, il ruolo dell’enologo assume oggi, nella sua forma più vera, un valore di rilevante importanza. Un enologo è prima di tutto un grande agronomo, un’attento ascoltatore in grado di cogliere le sfumature di un territorio, i talenti di un uva e di tradurle e racchiuderle in qual cosa di veramente unico, vero e genuino. L’enologo moderno è colui che riesce ad applicare a tale la propria conoscenza, senza rimanere vittima del proprio sapere.

 

D. Ci dai la tua definizione di terroir?

Un grande amico una volta mi disse che noi siamo tutto quello che ci siamo accorti di non aver avuto perché, solo in questa condizione, l’uomo è stimolato a coltivare e ad esaltare i suoi talenti. Ebbene penso che questa affermazione, entro certi limiti, si possa applicare anche all’uva e al vigneto in generale: una pianta che vive in un terreno ricco, fertile, irriguo e con un clima accogliente non darà mai una grande uva e quindi un grande vino. Il terroir è un luogo che permetta al vitigno di esprimere il suo talento e permettendogli di diventare esso stesso interprete e sintesi di quel luogo.

 

D. Esiste il vino naturale? Sai darmi una definizione?

Si esiste, ma non solo nell’accezione in cui oggi viene rappresentato. Spesso si parla di vinificazioni o sistemi di coltivazioni “naturali” e queste due condizioni dovrebbero quasi bastare a definire un vino naturale. La mia attenzione invece è più rivolta alla natura quale forza generatrice di talenti e di identità e di mettere in pratica una conoscenza sensibile in grado di liquefare questo messaggio. La coltivazione e la tecnica di vinificazione saranno quindi una scelta responsabile per l’attuazione di un percorso e quindi un progetto territoriale.

 

D. Che idea ti sei fatto del mondo del vino oggi e come lo immagini nel futuro o come lo vorresti?

E’ un mondo meraviglioso, positivo e stimolante. Mai come in questi ultimi anni il vino ha attratto così tanto interesse. Talvolta però, in tutto questo fermento si finisce col parlare tanto di vino ma poco del vino. La differenza è prospettica, sottile ma sostanziale.

 

D. Esiste un linguaggio alternativo del vino rispetto a quello adottato oggi? Cosa bisogna cambiare secondo il tuo punto di vista?

L’evoluzione del concetto di qualità del vino rende necessaria l’introduzione di un linguaggio nuovo, forse più simile a quello utilizzato per la recensione di una musica o di un film, rispetto alle descrizioni usate fino ad oggi con l’unico scopo di darne uno sterile giudizio. Un linguaggio che sia in grado di rappresentare le sfumature del carattere del vino e non quelle del colore, un linguaggio che riesca a raccontare l’identità e l’essenza della sua natura e non unicamente l’intensità aromatica o gustativa.

 

D. Qual è stato il momento in cui ti sei emozionato di più esercitando la tua professione?

Il mio lavoro è fonte di emozioni continue, tanto che il mio lavoro, oltre alla vela, è anche il mio hobby preferito. E’ difficile dare una scala di valori alle emozioni ma una delle più recenti è stato riassaggiare qualche giorno fa uno dei “miei”  primi vini, un Valpolicella Mithas del ’99 e ritrovarlo ancora vivo, verticale, dinamico.

 

D. Cos’è che ami del tuo lavoro?

Amo molto il confronto, in primo luogo con la natura e in secondo luogo con le persone: non esistono molte professioni che ti consentono di arricchirti con entrambe le cose.

 

D. Quanto è importante l’apporto del mondo scientifico al mondo enologico?

Domanda più che mai attuale in un contesto storico in cui la scienza viene spesso presa di mira per paura che essa sia una limitazione alla naturale espressione della natura. Io al contrario sono convinto che la ricerca sia indispensabile non solo come fonte di arricchimento del nostro sapere, ma anche come stimolo alla sensibilità e all’intuito dell’uomo. Con questi sani principi devo dire che temo molto più l’ignoranza che la conoscenza.

 

D. Cosa manca ancora di importante al mondo del vino?

Il mondo del vino, specialmente quello dei cosi detti vini naturali, ha bisogno più che mai di una ricerca seria e che realmente riguardi i temi sensibili che interessano tutti i viticoltori. Purtroppo ad oggi la maggior parte delle ricerche vengono fatte da aziende o enti che non hanno un legame diretto con la terra ma che spesso vendono servizi o prodotti. Quello che mi piacerebbe è che le piccole aziende, unite, si confrontassero realmente e si facessero promotrici di ricerche strutturate in grado di trovare soluzioni naturali sulla base delle loro reali necessità.

 

Per acquistare i biglietti per l’evento:  www.eventbrite.it/e/the-natural-wine-challenge-tickets

 

 

 

 

 

 

Torniamo in Piemonte per incontrare i nostri produttori, per assaggiare le vasche delle nuove produzioni e per respirare il loro sapere da trasmettere in giro per lo stivale. Usciti dall’autostrada i cartelli stradali che indicano i paesi i vari villaggi fanno emergere un’emozione che si rinnova ogni volta che arriviamo nelle zone vocate del vino.  Giungiamo nella denominazione del Barbaresco, da sud entriamo nel Cru delle Roncagliette tra le Roncaglie e il vigneto Roccalini, un’area passata alla storia grazie ad Angelo Gaja che qui possiede le vigne di Sorì Tildin e Costa Russi, le vigne che hanno permesso al Barbaresco di diventare tra i vini più conosciuti al mondo.

 

In questo contesto  si trova la cantina “La Berchialla” di Olek Bondonio e famiglia. Da qui si gode una   vista a trecentosessanta gradi sulla denominazione che definiremo didattica. A Nord il paese di Barbaresco con i cru, tra gli altri, di Asili, Moccagatta, Rabaja mentre verso sud Treiso, Neive dove Olek possiede il vigneto di Starderi e sullo sfondo il crinale di Barolo da cui spicca La Morra a cui arriveremo più tardi. Il vigneto le Roncagliette fa emergere la natura del suolo che Olek ci spiega essere di orgini antiche e per questo così vocato. Nato per sollevamento del mare, è molto ricco di argilla, calcare e microelementi che donano struttura e finezza al suo nebbiolo. Entriamo nella cantina dapprima tra le vasche in acciaio per assaggiare la Barbera, il Dolcetto e la Pelaverga, il vitigno autoctono a rischio di estinzione ma tenuto con tenacia alla Berchialla, ma in particolare dalla signora Lisetta Burlotto, suocera di Olek. I vini in acciaio sono già molto godibili e aperti anche in questa fase iniziale, un’annata calda e generosa che dona vini di facile lettura.

Nella stanza accanto entriamo dove giacciono le botti in legno, per degustare i Cru di Nebbiolo, quelli sotto la casa la Roncaglietta e poi lo Starderi a Neive. Olek è molto attento in vinificazione, e sente molto la responsabilità che una denominazione come quella di Barbaresco gli impone nell’interpretazione di questo vino. E’ consapevole della grande nobiltà che questi terreni possono apportare al prodotto finito, ma è altresì consapevole del fatto che il delicato passaggio della vinificazione debba essere fatto con rispetto anche di chi il vino poi lo beve. Un nebbiolo su queste terre gli consente di operare con sicurezza, Olek ha le idee molto chiare e sa bene cosa vuole e come ottenerlo. La vinificazione è spontanea e senza solfiti aggiunti, non ci sono filtrazioni o aggiunte di qualsiasi natura, ma solo tanta attenzione e pazienza. L’affinamento avviene in botti tra gli 11 e i 16 ettolitri di produzione austriaca.

 

Dopo qualche assaggio la fame si fa sentire e ci dirigiamo verso il ristorante del Real Castello di Verduno, di proprietà della moglie Alessandra Buglioni. La porta di legno d’ingresso è lavorata, importante, con un po’ di fantasia si può immaginare un volto che scruta il nostro ingresso immersi in un clima ovattato quasi sussurrato, sicuramente fiabesco. In cucina la signora  si fornelli ci  dona una sensazione di sicurezza, quasi materna. Le grandi stanze fanno ben intendere l’idea di imponenza che un castello come questo voleva comunicare nei tempi addietro sebbene l’arredamento caldo e i colori delle pareti, restituiscano un clima famigliare e accogliente. Alle pareti l’arte la fa da padrona. Prendiamo posto nel tavolo rotondo apparecchiato solo per noi, davanti ad una grande e luminosa finestra.  Un pranzo che difficilmente dimenticheremo, con sapori autentici sapientemente preparati. La prima pietanza è una incredibile testina di manzo bollita e servita con una cremosa salsa di peperoni, poi le trippe in umido e olive, quindi un bel pezzo di formaggio affinato nelle vinacce del nebbiolo e per finire le pere al forno gustosissime.

In anteprima degustiamo la nuova entrata il rosso Carolina, 80% barbera 20% dolcetto senza solfiti aggiunti, un vino molto piacevole e delicato, la barbera da queste parti è più gentile, emerge la parte salina conferita dal terreno che dona bevibilità.

Il Barbaresco Roncagliette 2016 (in uscita la prossima primavera) dal colore  rosso mattone al naso è molto elegante dal tratteggio fine da cui emergono sentori floreali e ciliegia selvatica, mirtillo e tratti balsamici freschi, al palato è elegante, dotato di una tessitura fine con i tannini ben composti e bella persistenza gustativa. Un grande Nebbiolo.

 

 

 

Sarà per noi un onore avere come ospite per il Natural Wine Challenge l’affascinante personaggio che è Pierre Jancou.

Oste e ristoratore intraprendente e sempre alla ricerca di nuove avventure, da sempre sostiene con fierezza e convinzione i vignaioli naturali ed i loro vini.

I locali che ha aperto nel corso degli anni sono diventate vere e proprie icone per gli amanti dei vini naturali, noi siamo stati qualche volta suoi ospiti e, grazie forse anche al rispetto ed alla stima reciproca, siamo sempre stati divinamente!

Vediamo assieme chi è Pierre Jancou, di seguito una breve biografia ed un’intervista fatta per noi:

 

Svizzero, nato a Zurigo e cresciuto da bambino con una famiglia italiana originaria di Modena.

Nel 1988, a 18 anni, arriva a Parigi iniziando a fare tantissimi lavori nella ristorazione, tutto quello che si poteva. Nell’ 89 e fino al 91 lavora come barman al “Bain Douches” una discoteca mitica di quell’epoca.

Nel 92 apre il suo primo ristorante “La Bocca” trattoria italiana.

Nel 99 decide di intraprendere la strada della cucina, soprattutto perché nella sua testa ha sempre pensato che per gestire un ristorante sia fondamentale saper cucinare.

Si iscrive ad un corso di cucina italiana in Emilia. Qui lavora a fianco di Igles Corelli e Massimo Bottura, era il 2000. Durante il suo passaggio in Italia ha modo di scoprire autentiche chicche gastronomiche che a quel tempo non erano presenti a Parigi.

Nel 2001 torna a Parigi e apre in seguito: “La Crémerie”, “Racines”, “Vivant”, “Vivant cave”, “Heimat” e “Achille”.

In questo periodo crea il movimento “MorethanOrganic” http://morethanorganic.org/

 

Pierre è il primo a portare il concetto di neo-bistrot a Parigi. Pochi piatti, materie prime eccelse, informalità nel servizio e nella mise en place, ma soprattutto carte vino solo di vini naturali.

Oggi ha lasciato Parigi e ha aperto un ristorante, il “Café des Alpes” dove propone cucina rurale, senza o quasi ausilio di elettricità e tecnologia.

 

D – Visto le tue molteplici iniziative a livello imprenditoriale nel mondo della ristorazione, come riassumeresti i passaggi per creare un’impresa ristorativa di successo basata sul servizio dei vini naturali?

 

Come potrei risponderti.. la mia ricerca a Parigi e stata come un “brocanteur”, uno che cerca  delle chicche, dei posti con una storia, dimenticati o gestiti male e di ridare a questi posti

uno splendore e un anima.

“La Bocca” era una vecchia boulangerie splendida, la cremerie una latteria del 1880, “Racines” un vecchio “imprimeur” dentro un passaggio storico citato da Zola, il passage des panoramas,

Vivant e Vivant Cave dentro un’uccelleria del 1903 coperta di piastrelle uniche e bellissime, Heimat era dietro il Palais Royal, proprio lì dove è morto Molières, Achille in fine era un vecchio café che ho voluto far rimanere con il carattere dei café dei primi del 900.

Per me il luogo è importante, la storia del luogo è importante.

Ho sempre cercato di portare un nuovo stile di ristorazione. La mia idea era quella di portare l’alta cucina di ricerca in un ambiente bistrot.

Il menù scritto in lavagna, l’assenza di tovagliato, però le posate erano sempre di artigianato così come i bicchieri.

La lista vini esclusivamente naturale.

 

Dovete pensare che quando ho iniziato, nessuno dava importanza a queste cose. Sono stato il primo a portare la Berkel a Parigi, dove tagliavo il culatello e il lardo di Fausto, il guanciale di Berardi, i salumi Fracassi…

Poi c’erano il Parmigiano di Bonati e i pecorini di Gregorio. Per me la ricerca è una cosa fondamentale.

Non ho mai avuto soci o investitori, eccetto che per  Heimat, sempre da solo, uno dopo l’altro.

 

L’idea era quella di cercare luoghi bellissimi a basso prezzo, portando la mia filosofia di ristorazione e rilanciando il locale.

Quando il posto era partito e lanciato, allora cercavo altro per creare. La creazione per me è fondamentale, se non riesco a creare qualcosa di nuovo mi annoio.

Per diventare ristoratore, ci vuole tanto lavoro, ci vogliono idee originali, bisogna raccontare una storia, essere presenti, rispettare i clienti facendoli sentire come a casa e non per ultimo, scovare talenti sia in cucina che in sala.

 

D – Quali sono i compiti di un “oste” al giorno d’oggi?

 

R – Ti voglio rispondere in due parole; onesto e vero.

 

D – Uno dei problemi che spesso hanno i ristoratori in genere è quello di non avere uno staff altamente preparato. Secondo la tua esperienza come è possibile creare una squadra di sala che sia formata e preparata?

 

R – Lo staff di lavoro ti deve rispettare, e ti rispetta se sei un gran lavoratore prima di tutto. Poi bisogna saper creare passione in un ambiente familiare ma pur sempre di lavoro. Ho sempre cercato di spingere i miei collaboratori ad essere persone migliori e ricche di interesse, ma è fondamentale dare l’esempio.

 

D – Ritieni sia importante pensare ad un nuovo linguaggio nel mondo del vino? Potresti indicarci alcuni aggettivi che hai utilizzato durante la tua carriera professionale?

 

R – Mi piace più il termine vin vivant che vin naturel per esempio.

Mi sembra più chiaro. Nel vino naturale, così come nel vino convenzionale  c’è di tutto, buono e cattivo.

Io mi ritengo allievo della scuola Chauvet e Neauport, dunque un linguaggio diverso da quello classico, più libero, dove il linguaggio e gli aggettivi li crei tu cercando dentro di te, usando la tua sensibilità e la tua esperienza.

 

D – Vorremo che ci raccontassi come avviene il tuo approccio verso un cliente che è interessato a bere un bicchiere o ad acquistare una bottiglia?

 

R – Prima di tutto bisogna capire i gusti del cliente; che vini beve, cosa gli piace, cosa vorrebbe? Poi in base a questo proporgli qualcosa  che piace a lui e non solo a, questo è molto importante. Se vuoi far cambiare i gusti ai tuoi clienti bisogna farlo piano piano, con rispetto e cercando di creare un percorso che possa far aprire le persone.

 

D – Indicaci un tuo abbinamento che ha riscontro un enorme successo e uno che invece hai sempre pensato ma che non sei mai riuscito a proporre

 

R – Amo gli abbinamenti originali, non classici. Spaghetti ai ricci di mare con un Serraghia di Bini oppure degli gnocchi fatti in casa con all’amatriciana (guanciale Berardi) e pecorino abbinati ad un vecchio Gamay d’Auvergne di Patrick Bouju.

 

D – Ultima domanda, cosa e come si dovrebbe comunicare quando si consiglia un vino?

 

R – Bisogna fare passare  un messaggio, racconntare la storia del vino, della donna o del uomo che lo fa, come è vinificato, il suo terroir, la sua terra, è tutto una questione d’amore!

Le persone vogliono sognare e il vino li aiuta a viaggiare.

Quello che cerco in un vino è proprio questo, voglio sentire la sua energia.

 

Vorrei aggiungerti alcune mie considerazioni finali.

Per diventare ristoratore bisogna amare gli altri, bisogna amare dare, perché  ritengo che non si può ricevere nella vita senza dare.

Un gesto, una parola giusta, un bicchiere di vino.. ci sono tanti modi.

 

Per chi vuole lavorare nei vini naturali chiaramente è importante conoscere bene i distributori e assaggiare il più possibile ma è ancora più importante andare a conoscere i vigneron nelle loro terre e nelle loro cantine.

Bisogna lavorare con esperienza e assaggiare tanti vini per potere poi passare un messaggio, raccontare una storia e semplicemente far bene il proprio lavoro.

Il nostro dovere e di far cambiare le cose piano piano ognuno al suo livello.

Il cambiamento c’è, la coscienza per un mondo più giusto, più libero dalla chimica e anche la voglia di mangiare e bere con una tracciabilità. Ma la strada è ancora lunga e avremo ancora tanti anni per cambiare veramente le cose e combattere pacificamente per un mondo più sano.

 

Racines

 

 

Pierre è persona schietta e sincera. Le sue idee di ristorazione sono state lungimiranti e hanno apportato un cambiamento totale nella nuova generazione di ristoratori, all’inizio in Francia e poi in tutto il mondo.

Pierre Jancou rappresenta uno dei padri della generazione dei neo-bistrot.

Abbiamo voluto darvi l’occasione di conoscere, ascoltare e apprendere tutti gli ingranaggi che stanno dietro ad un idea di ristorazione.

 

Per farlo dovrete partecipare al prossimo Natural Wine Challenge 2019!

 

Come?

 

Prenotando il tuo biglietto qui:  www.eventbrite.it/e/the-natural-wine-challenge-tickets

 

I dettagli della giornata sul nostro precedente articolo: www.vininaturali.it/the-natural-wine-challenge-2019

 

 

Ci vediamo a Fidenza il 21 Gennaio!