Panorama in Rufina, Frascole

Siamo a Dicomano, provincia di Firenze nel cuore della Toscana, dove termina la valle del Mugello ed inizia la Valdisieve, alla confluenza tra il torrente Comano e la Sieve, in un luogo pieno di verde e calma, in collina a circa 400 mt dove si trova l’azienda agricola Frascole.

Frascole è a conduzione familiare dal 1992 dalla famiglia Lippi e Santoni, quali possiedono 15 ettari tra vigneto ed oliveti, interamente a regime biologico sia per i vini che per l’olio dal 1999, lavorati nella massima attenzione e preservazione naturale del luogo.

Un piccolo borgo medioevale, una gemma grezza che ospita la cantina e chi fa loro visita con bellezza e quiete, e si può anche trovare un agriturismo per potere godere a pieno della Toscana. La valle del Rufina si distingue per caratteristiche e freschezze dove i vigneti sono piantati in collina alta, con terreni che presentano substrati arenacei, calcarei e marnosi, con presenza di sabbia e ciottolami.

I loro vini in gamma sono:

Le uve coltivare son prettamente a bacca rossa con Sangiovese in primo posto, seguito poi da Cannaiolo e Colorino, poi gli internazionali di prestigio come Pinot Nero e Merlot.

Le uve a bacca bianca che in passato erano motivo di vanto, e di consumo personale con il Trebbiano Toscano e Malvasia Bianca.

Ci abbiamo messo molto impegno nella selezione di questa azienda e siamo orgogliosi di questa nuova collaborazione, la Toscana è una zona davvero speciale che, da sempre, ci entusiasma molto!

Eccoci qua pronti per la seconda programmazione della nostra fresca e nuova rubrica di Arkè Il Cavatappi Viola!

Con ritmo incalzante teniamo le dirette con i nostri amici Vignaioli e Osti per parlare ovviamente di vino e bottiglie ma anche di vita ed esperienze! questa settimana abbiamo già fatto un paio di dirette ma, se ve le siete perse trovate un video connesso sul nostro canale IGTV.

Per il prossimo mese ecco qui come si procede con i nostri appuntamenti:

Nei nostri video apriamo sempre una bottiglia ” al volo” della nostra selezione e ne chiacchieriamo con voi, raccontando le aziende, i sapori e le sensazioni e magari arricchendo con piccoli dettagli vissuti durante le nostre visite (ah! quando ci mancano! ) vi daremo la nostra impressione personale e le note degustative principali: non sarà un’impostazione troppo classica, ma sempre rockeggiante e dinamica, esattamente come anima lo spirito di noi di Arkè ! Ascolteremo musica assieme a voi, e ad ogni etichetta abbineremo un brano o un gruppo musicale, come sapete è una componente fondamentale per noi, la musica!

Che dire?

  • 14 Aprile diretta alle ore 18.00 con Sauro Maule ( trovate il video su IGTV)
  • 16 Aprile diretta alle ore 16.00 con Simone Fanton, Oste a Vicenza, Presidente del gruppo SaperBere ( online la diretta )
  • 18 Aprile diretta alle ore 18.00 con Angiolino ed Alessandro Maule de La Biancara.
  • 21 Aprile diretta alle ore 18.00 con Brunnhilde Claux di Domaine de Courbissac, ( si in italiano, tranquilli 🙂 )
  • 24 Aprile diretta alle ore 18.00 con Rosy e Christoph Unterhofer di reyter
  • 28 Aprile diretta alle ore 18.00 con un nostro amico Oste di Venezia, Diego Carraro
  • 01 Maggio diretta alle ore 18.00 con Lorella Reale di Cantina Riccardi-Reale
  • 05 Maggio diretta alle ore 18.00 con Pacina
  • 08 Maggio diretta alle ore 18.00 con Saccomani
  • 12 Maggio diretta alle ore 18.00 con Enrico Murru, un amico Oste di Røst, a Milano, (si definisce anche Il cacciatore di vini )
  • 15 Maggio diretta alle ore 18.00 dal sud del nostro stivale con Daniela e Giampiero di Masseria Perugini

Walk On The Wine Side Always!

CHE COSA APRIRÀ IL CAVATAPPI VIOLA DI ARKÈ??

Ci sono Osti che nel mondo del vino naturale ci entrano per caso e se ne innamorano come un colpo di fulmine ed è quello che è successo al nostro amico Ernesto, nel suo Bar Latteria La Pausa, a Genova.

Per chi ha avuto il modo di visitarlo, è un Bar dove ci si sente subito a casa, coccolati, anche grazie alla bella selezione vini che si può trovare! e ovviamente anche grazie ai loro grandi sorrisi, quelli di Ernesto e della figlia Cristina che gestiscono il loro Bar.

Dovete sapere che è stata il primo locale ad avere una Arkèteca, una bacheca interamente dedicata a noi di Arkè: che onore!!! e questo fin dal 2014.

Arkèteca

Ed ora vi lasciamo l’intervista ad Ernesto, presente all’interno del nostro Catalogo 2020 dove abbiamo parlato con 6 osti di vino, del servizio e delle curiosità che si vivono da dietro al bancone quando si sceglie di proporre vini autentici, vivi, onesti, di territorio se preferite chiamarli cosí e il termine naturale non vi piace!

Quando hai bevuto la tua prima bottiglia di vino naturale (o artigianale o tradizionale come un Barbacarlo o un Valentini) e che effetto ti ha fatto?

Ricordo che circa 15 anni fa, insieme all’amico Fulle bevemmo una bottiglia di bianco dell’Az. La Castellada, capii che esisteva un mondo del vino diverso da quello che avevo conosciuto fino ad allo- ra. Iniziai il mio percorso, diventò una vera passione,cominciai a frequentare le fiere dei vini naturali, a conoscere vignaioli, a visitare aziende agricole: un mondo affascinante. Non solo, da convinto detrattore dei bianchi diventai un “bianchista”, niente più mal di testa e acidità gastrica. Questa passione condizionò in maniera positiva il mio lavoro. Ora alla Pausa si stappa quasi esclusivamente vino naturale.

Cosa non ti piace, o meglio, cosa cambieresti di questo movimento?

Forse l’incontro che ha mi dato la svolta definitiva è stato quello con Maule Angiolino per me rappresenta il vino naturale, ma noto che intorno a lui c’è chi cavalca la tigre cioè chi, a tutti i costi, vuole infilarsi nel mercato per fare business. Credo molto nell’Associazione Vinnatur, farne parte va ben oltre le varie certificazioni bio, infatti mi farebbe piacere poter vedere in etichetta il suo logo.

Raccontaci una reazione bizzarra e curiosa dopo che un cliente ha assaggiato per la prima volta un vino naturale.

La ricordo molto bene, mi chiese: ma questo è un vino naturale, biologico? Però è buono!
Io cerco di accompagnare i miei clienti in un percorso di conoscenza delle tecniche di produzione, dalla vigna alla cantina; di avvicinarli alla degustazione partendo da vini più tecnici e da annate più favorevoli, per poi arrivare a prodotti più difficili, più estremi e complessi che per i curiosi possono diventare delle vere e proprie esperienze sensoriali.

È interessante constatare che la maggior parte dei clienti inizia a tollerarne anche qualche piccolo difetto (riduzione, volatile alta…)il più delle volte dovuto a fattori climatici sfavorevoli e ad apprezzarne l’unicità che è il vero valore aggiunto di questi vini.

Sappiamo che i vini naturali non sono filtrati e hanno quindi spesso un fondo all’interno della bottiglia, sei favorevole all’utilizzo della caraffa o del decanter?

Direi di no, sono abituato ad agitare la bottiglia prima del servizio per rimettere in sospensione le particelle. Penso che il liquido odoroso, come lo chiama Sangiorgi, acquisti complessità, si completi, diventi semplicemente più buono. Solo a volte succede che di fronte ad un vino un po’ datato utilizzi una caraffa per ossigenarlo più in fretta, ma diventa quindi solo un uno strumento per accelerarne l’apertura.

Parlaci di un vino che ami del catalogo Arkè

Mi piace molto la vostra selezione, non è quindi semplice sceglierne uno, ma devo dire che c’è un’etichetta che amo particolarmente, si tratta del Quinto Quarto grigio, ora Sivi, di Franco Terpin. Un vino che in base all’annata e alla stagione in cui lo stappi cambia completamente le caratteristiche e riesce sempre ad emozionarti. Questo perché a produrlo c’è un uomo che sa quello che fa, una persona vera e schietta. I suoi vini sono lui e lui rappresenta i suoi vini. Quando il cliente mi dice “fai te, stappa una bottiglia che piace a te”, io non ho dubbi, il Quinto Quarto Grigio non delude mai.”

Grazie Ernesto, Grazie Cristina e al Bar La Pausa!

Francesco ed Ernesto raccontano i vini ai clienti del Bar
Team Bar La Pausa al completo!bat

“Ho scritto una cosa per il nuovo catalogo di Arkè Distribuzione Vini Naturali. Qualche mese fa Francesco Maule mi ha chiesto di esplorare il mio punto di vista sul presente e sulle prospettive del movimento dei vini naturali. E mi sono ricordata di una conversazione, durante un aperitivo post vendemmia, in cui un canadese e un’australiana mi hanno spiegato cosa è un fucked up wine. Sono partita da lì.”

Cosí presenta Diletta nella pagina di uno dei suoi social, il pezzo scritto per noi di Arkè, per il nostro Catalogo 2020.

Diletta Sereni scrive di cibo e agricoltura per Vice e altre testate. Ha un dottorato in semiotica e ha insegnato semiotica a IED Milano e co-fondato la società di ricerche “Squadrati“. Ha collaborato alla scrittura di due libri: “Le Sette Virtù del cibo” (Fondazione Feltrinelli) e “L’Italia di vino in vino” (Altreconomia).

Una super donna dalle moltiplici risorse e per noi è degna di essere una Psychedelic Rock Woman, irriverente e capace di raccontare le cose in maniera diretta ma elegante, esattamente come l’era musicale di nostra ispirazione per il Catalogo 2020: riassume in sè un concentrato di energie nuove ma consapevoli, e che lasceranno il segno. Ormai lo sapete quanto amiamo la musica.

Ma torniamo a Diletta, ecco quello che ha composto per noi, le avevamo chiesto, come spunto iniziale, una sua personale visione dello stato dell’arte attuale (e futuribile) del movimento del vino naturale…

” Una sera di settembre, nella campagna senese, mi sono trovata a discutere di vino insieme a un canadese e un’australiana. Entrambi miei coetanei (trentaqualcosa), entrambi impiegati in ristoranti famosi per la cura delle materie prime e per le brillanti carte di vini naturali. Per una deformazione da semiotica che mi condanna a pensare il linguaggio come un modo per dare forma al mondo, prima ancora che descriverlo, ho chiesto loro: che parole usano i clienti che si affacciano al vostro bancone, per ordinare un vino, per farvi capire cosa vogliono bere? Ce ne sono tante, ovviamente, ma loro si ricordano soprattutto queste due: “crazy wine” mi dice l’australiana. “Fucked up wine” rincara il canadese. Mi spiegano che chi chiede un crazy o fucked up wine (che non è grave come sembra ma indica un vino che stupisce, spiazza), vuole bere qualcosa che li porti fuori dal conosciuto, dal consueto, ed è pronto a bere un vino irregolare (da noi si dice “funky”). Spesso mirano a vini freschi e leggeri, perché questo stile sta vivendo il suo momento di gloria, ma non solo e probabilmente non per sempre. Quello che mi interessa è che ci sia, dal Canada all’Australia, una schiera di bevitori, tendenzialmente giovani, che imposta le proprie scelte su un’emozione così poco praticata nel consumo di vino fino ad appena qualche anno fa: la sorpresa.

Se allarghiamo lo sguardo: l’attrazione verso la sorpresa, l’apertura alla diversità, sono tratti fondanti della cultura dei vini naturali, che è appunto nata in aperta opposizione all’omologazione, all’appiattimento generato da qualche decennio di viticoltura ed enologia industriale. Apertura alla diversità che riguarda anche la geografia, cioè l’aver portato l’attenzione su territori trascurati dalle traiettorie del vino eppure vocati alla sua produzione: il lago di Bolsena, le colline Lucchesi, la Val Camonica…

Infine, tendere alla sorpresa va a scardinare uno dei capisaldi della scuola di degustazione classica, impostata invece sul riconoscimento: la consacrazione delle etichette e dei terroir, il sofisticato modo di ricondurre il gusto di un vino a una griglia di caratteristiche già previste, già depositate. Il considerare questa prevedibilità un valore. Il dogma che debba piacere a tutti la stessa cosa. All’opposto: aprirsi all’imprevedibile è parte dell’esperienza dei vini naturali, come non del tutto prevedibile è il processo di fermentazione e affinamento, se non guidato da additivi e manipolazioni.

Circa un anno fa usciva su Omnivore un articolo in cui Alice Feiring – prima grande divulgatrice e sostenitrice del movimento dei naturali – metteva in guardia dall’involuzione “modaiola” del consumo di vini naturali. In quel pezzo, il ricordo nostalgico delle prime Dive Bouteille viene affiancato alla superficialità di oggi: la velocità con cui i vini entrano in commercio abbassando la qualità media, le star di Instagram e i consumatori giovani e inesperti che finiscono per riconoscere un vino come naturale solo quando risponde a un certo stile “non finito” che spesso comprende dei difetti. I giovani che ordinano un “fucked up wine” rappresentano per Feiring la fine dell’utopia dei vini naturali.

Guardo all’attuale scena del vino naturale con meno sospetto e catastrofismo di quanto faccia Feiring e mi chiedo se questo non dipenda da un fatto anagrafico (e di esperienza). Il mio punto di osservazione è quello di chi ha iniziato a bere vini naturali nel 2012, che se ne è innamorata al punto da trasformarli, negli anni, in materia di lavoro; è il punto di osservazione di chi scrive per una testata (Vice Munchies, la redazione italiana ha aperto nel 2017) che tratta il vino quasi esclusivamente come vino naturale e che viene letta in gran parte da ventenni e trentenni.

Dal mio punto di vista, il fucked up è interessante. Mi sembra una fase addirittura necessaria, se intendiamo il vino come un fatto culturale: ogni avanguardia passa attraverso dei momenti di rottura, di provocazione, di esclusione e stigmatizzazione da parte della cultura da cui nasce, per poi depositarsi per prove e tentativi nel “gusto” più generale. È segno che la cultura è viva. E se stiamo qui a discutere se funky/fucked up sia bene o male, oltre a renderci infrequentabili per chiunque sia al di fuori della bolla del vino, contribuisce a tenerla viva.

Aggiungo al mio punto di vista quello di due ristoratori. Gianluca Ladu (Vinoir, Milano) sottolinea i lati positivi: quando ha aperto il locale nel 2012, mi dice, il suo pubblico era fortemente basato sul nocciolo duro di esperti e appassionati. Era raro vedere entrare dei ventenni. Invece da due-tre anni (complice anche il successo delle università di scienze gastronomiche) molti ventenni frequentano il locale non solo con curiosità, ma anche con una prima infarinatura e stimoli colti. Molti di questi ventenni vivono la passione per il vino naturale o la gastronomia in generale come una priorità, qualcosa per cui spendere i primi soldi guadagnati; hanno insomma una coscienza gastronomica assai più sfaccettata di quella dei ventenni degli anni Novanta e dei primi Duemila. Come fai a non essere ottimista di fronte a questo, mi dice, anche se vanno in fissa temporanea per un solo tipo di vino (rifermentato, ossidativo, dissetante), anche se bevono vini naturali per moda, sono tutte persone che in altri tempi hanno bevuto birra, e della peggior specie.

Gaetano Saccoccio (Rimessa Roscioli, Roma) mi porta invece verso le vulnerabilità dei bevitori più giovani: il mercato del vino naturale, dice, è in questo momento un terreno scivoloso per chi non ha esperienza e strumenti solidi per leggerne le ambiguità. Da una parte c’è l’industria del vino che cavalca alcune parole magiche (“non filtrato”, “senza solfiti”, “in anfora”) svuotandole di storia e di etica di produzione: è un marketing opportunista che crea grande confusione, soprattutto in chi deve ancora formarsi uno spirito critico. Dall’altra, continua, la fissazione per il vino funky (o orange eccetera) va bene finché resta davvero un elemento di libertà, ma diventa pericolosa quando si irrigidisce su alcune caratteristiche e – il suo parere converge qui con quello di Alice Feiring – anziché creare complessità, finisce per ridurla.

Fare parte di un’avanguardia ci diverte ed emoziona e facciamo così tanto rumore che ce lo scordiamo: siamo un bruscolo nel mare. Non mi avventuro nei dati perché non ce ne sono di attendibili, ma dico due cose su cui a buon senso possiamo concordare: (1) il mercato dei naturali cresce ogni anno (2) in un settore però ancora largamente dominato dall’approccio convenzionale/industriale (al 95%? 90%?). Sulla scia di esperienze-faro, come quella del Noma, molta ristorazione stellata o parastellata si è convertita al naturale e i vini naturali si stanno ritagliano uno spazio (più o meno ghettizzato) nelle carte della ristorazione tradizionale e nelle pagine degli e-commerce generalisti.

Allo stesso tempo, il “naturale” resta un fenomeno largamente ancorato alle città. Se a Milano o Roma i tentativi di stigmatizzazione (un cartello “vino senza solfiti ma buono” o un ristoratore che definisce i vini naturali “quelli che puzzano”) brillano ormai per goffaggine; nelle città piccole, in provincia, in campagna, per proporre una carta di soli naturali ci vuole molto coraggio. Ordinare un vino naturale in un’osteria di Poggibonsi è qualcosa che potrei fare solo per allargare il mio repertorio comico. Eppure, scoprire i produttori del lago di Bolsena è un grande spreco se poi riescono a vendere solo a Roma e Tokyo, ma non, per dire, sullo stesso Lago di Bolsena. Ogni conquista ha i suoi tempi, credo

Se c’è una cosa che risveglia in me un vago senso di allarme è semmai questa: la gara di purezza a chi è più naturale. Una gara a tratti tribale, basata su un linguaggio assoluto e iperbolico, spesso condensato in slogan (“perché lo slogan è fascista di natura”, cantava un idolo della mia adolescenza). Un limpido esempio di questa deriva è il coro del NoSo2, il rivendicare l’assenza di solfiti aggiunti come se fosse l’unica cosa davvero importante – e lo dice una che preferisce bere vini senza solfiti aggiunti. Una simile retorica espone a due tipi di vulnerabilità. Da una parte distrae dall’importanza dell’approccio agricolo e dell’etica ambientale, che è ben più difficile da raccontare per slogan. Dall’altra, rende più facile per l’industria emulare il naturale e prendersi molti di quei ventenni curiosi, fabbricando un vino industriale “senza solfiti” oppure “non filtrato”. Le grandi aziende hanno i mezzi enologici per farlo (lo hanno già fatto) e un marketing smaliziato, capace di raccontarlo.

Per il resto, ci muoviamo sul crinale tra anarchia e bellezza, tra i vari assestamenti di un’avanguardia. Come procedere senza sbandare troppo, questa è la domanda. Ad esempio proteggendo le conquiste più preziose. Quella basilare, l’aspetto politico dell’agricoltura: ricordarci che chi coltiva la vigna proteggendo la qualità dell’aria e suolo sta facendo un servizio per tutti. E poi la diversità, la diversità ha sempre ragione, che la si tratti da principio biologico o filosofico. Proteggere la diversità nel vino naturale vuol dire pensare il vino come un’ampia gamma di sfumature tra l’irriverente e il classico; accettare la diversità di gusti senza prenderla come affronto o volgarizzazione; e soprattutto godersi l’idea che ogni territorio, ogni produttore e annata, ogni calice, sia fonte di sorpresa. La sorpresa va allenata – per sorprendersi davvero bisogna avere delle attese, cioè conoscere il contesto – ma in fin dei conti mantiene giovani. “

Grazie Diletta!

Uno degli appuntamenti più interessanti del mese di febbraio è Vinnatur Genova, evento che si ripete ogni 2 anni con un cospicuo riscontro tra il pubblico degli amanti del vino buono e naturale.

Quest’anno l’appuntamento è il 23 e 24 febbraio 2020 presso i Magazzini del Cotone del Porto di Genova, in un Salone di Degustazione esclusivo che vedrà la presenza di 100 vignaioli europei ed oltre 500 vini in assaggio, dalle ore 11.00 alle ore 19.00 in entrambi in giorni.

I produttori di Arkè presenti saranno tanti e nel dettaglio ecco chi e a quale tavolo trovarli (ho creato una piccola mappa con i cerchietti azzurri che vi può aiutare nella ricerca!) :

  • Casa Belfi, tavolo 99
  • La Biancara, tavolo 100
  • Il Cavallino, tavolo 98
  • Podere Santa Maria, tavolo 76
  • Pacina, tavolo 77
  • Cascina Borgatta, tavolo 48
  • Valli Unite, tavolo 49
  • reyter, tavolo 14
  • Podere San Biagio, tavolo 13
  • Masseria Perugini, tavolo 17
  • Masseria Starnali, tavolo 21
  • Cinque Campi, tavolo 22
  • Camillo Donati, tavolo 23
  • Cantine Riccardi-Reale, tavolo 32
  • Franco Terpin, tavolo 31

L’evento VinNatur Genova vedrà ancora protagonisti i Vignaioli in una serie di eventi serali sparsi nella città, ” Vinnatur Genova Off ” in collaborazione con ristoranti, osterie ed enoteche dove troveremo gli stessi produttori nei panni di abili Osti, dove racconteranno dei loro vini e della loro terra in abbinamento ricette dedicate.

Ecco qui i locali e i vigneron nel dettaglio:

  • Pacina sarà presente sabato 22 presso Troeggi
  • Casa Belfi lo troveremo alla Trattoria sabato 22 febbraio
  • Az. Agricola Terpin saranno ospiti presso il Ristorante Dega sabato 22 febbraio

Un week-end ricco, ricchissimo di eventi e tanti momenti diversi per conoscere i produttori, per assaggiare i loro vini e per passare dei bei momenti assieme. Come al solito Genova rimane una delle nostre città del cuore, dove si sta bene, si mangia e si beve bene e dove è sempre piacevole tornare.

Per info più dettagliate potete consultare il sito di Vinnatur per il Salone di degustazione e vi consigliamo di contattare direttamente i locali per assicurarvi il proprio posto per le serate con il produttore!

Ci vediamo a Genova !

Un nuovo pezzo inedito scritto dal nostro Giampaolo Giacobbo ma condiviso in toto da tutti noi di Arkè.

Anche nel catalogo di quest’anno siamo tornati a confrontarci con i vari stili musicali che si sono succeduti nel corso degli anni in tutto il pianeta. Abbiamo così individuato un’alternanza interpretativa che parte da schemi molto rigidi per poi assistere a rivoluzioni che tendono ad allontanarsi dal dogma, quasi un rifiuto, che però poi rientra pian piano. Una sorta di pulizia intellettuale che si rende necessaria quando si eccede alla ricerca della perfezione abbandonando la spontaneità espressiva. E’ accaduto con il Progressive che è stato spodestato dal Punk che a sua volta si è affinato nel tempo. E’ accaduto nel vino.

Abbiamo paragonato la storia del vino naturale a parte della storia della musica Rock. Forse è meglio dire che abbiamo chiesto aiuto alla musica per capire il percorso che il movimento dei vini naturali sta facendo. Inizialmente lo abbiamo fatto quasi per provocazione, ma giorno per giorno ci siamo convinti che queste due strade viaggiano parallele. Forse perché entrambe sono amplificatori di sensazioni che risiedono dentro di noi e che emergono in maniera pura, senza filtri.

” Nella sede di Arkè ascoltiamo molta musica. La musica è parte di noi, come per la maggior parte delle persone, an- che se non la riteniamo solo una colonna sonora della giornata.

La musica è un linguaggio che spesso accomuniamo al vino. Quando non riusciamo ad esprimere le emozioni che il vino ci dona chiediamo aiuto alla musica, e viceversa. Raccontando le radici del movimento dei vini naturali, abbiamo preso come esempio uno dei momenti più reazionari della storia della musica: Il Punk. 

Ma era solo un esempio, il più vicino alle nuove generazioni per capirci meglio perché se andiamo ad indagare nella storia della musica, spesso scopriamo come sia stata da sempre anche un’arma pacifica e indolore per non allinearsi e non alienarsi.

Pensiamo al Blues, al Be Bop, o semplicemente alla struttura musicale di come si sia evoluta passando dalla scala diatonica a sette note inglese a quella a cinque, la pentatonica. Quasi un’eresia per i puristi dell’epoca, una bestemmia, ma quello stravolgimento diede vita a tutto quello che fu il Rock e le sue evoluzioni.

Gli esempi sono moltissimi fino ad arrivare al periodo britannico in cui il rock si fonde con la musica classica, con il folk e il Jazz dando origine ad una raffinata, e un po’ barocca, forma d’arte musicale come il Progressive Rock.

In tutto questo percorso assistiamo ad un modulo che si sviluppa con un’iniziale esplosione, a tratti violenta, a cui segue un’evoluzione, forse un ripensamento sicuramente una ridefinizione, un affinamento concettuale.

Dal Big Bang all’armonia.

Il movimento dei vini naturali ha avuto una genesi molto simile alla musica, partendo da un periodo provocatorio e dissacrante negli anni novanta, per poi affinarsi lentamente nel corso del ventennio successivo.

Vendemmia su vendemmia i produttori hanno preso coscienza del loro reale obiettivo. Al concetto di puro e naturale, si doveva aggiungere anche quello di piacevole e bevibile.

Per anni i difetti enologici sono stati alibi e produttori ed appassionati tendevano confondere la tipicità con l’errore tecnico. Oggi il vignaiolo vive la viticoltura e la vinificazione con estrema attenzione e cura, guarda anche alla partescientifica raccogliendo tutto ciò che può essergli utile per conservare naturalità e armonia. Stiamo assistendo ad un percorso evolutivo che porta a dare maggiore definizione e comprensibilità al vino indipendentemente dalla “corrente” a cui appartiene. I produttori di impostazione più tecnica, d’altro canto, cominciano a guardare verso un’idea di un’agricoltura più sostenibile e rispettosa con attività meno interventiste rispetto ad un tempo. Ognuno con il suo stile ovviamente ma abbiamo la sensazione che le strade si stiano avvicinando pur rimanendo dei percorsi paralleli. Il percorso è ancora lungo e pieno di insidie ma ci piace l’idea che comunque possa esistere e che il vento sia cambiato. 

Spesso assistiamo nel web alle infinite discussioni tra cosa sia giusto fare, cosa non lo sia, o le anacronistiche uscite tipo “il vino naturale puzza”, le fermentazioni naturali non si possono fare e via così.

Noi abbiamo deciso che andremo avanti nel rispetto delle idee di ciascuno ma soprattutto di noi stessi.
La musica Pop e la musica Folk continuano a convivere, così come la scala diatonica inglese e quella pentatonica. Non può farlo il vino?

Peace & Love! “

Anteprima assoluta per il nostro Catalogo 2020, che vi presentiamo con l’articolo scritto per noi, da uno dei nostri vignaioli del cuore, stiamo parlando di Marino Colleoni produttore di vini specialissimo a Montalcino, Toscana.

Marino parla di vigna, di vino, di amore e di futuro. Esattamente quello che vogliamo comunicarvi con il nostro catalogo 2020: What Comes After è il nostro nuovo ideale, con lo sguardo positivo e felice rivolto al domani, dove ci auguriamo un futuro pieno di conoscenza e coscienza, perchè il Vino quello con la V maiuscola, si fa solo in questa modalità. Non con i discorsi, o con le parole, ma con i fatti.

Il nuovo catalogo viene concepito in chiave interrogativa: il senso finale della nostra domanda vuole essere accento sarcastico, spronante e che punta al verbo “fare”: saper fare il vino buono e sano, averne conoscenza anche scientifica e di volontà, un prodotto integro dal produttore al consumatore finale nel proprio bicchiere.

Siamo certi di essere portavoce di un movimento che agisce, collabora, contribuisce con convinzione da decenni oramai, e che ha sempre puntato alla crescita, arricchendo l’attuale e il futuro. Non quindi vini del passato, ( famoso e decrepito concetto dei ” vini del nonno” ) ma ispirati al passato coprendendone i limiti e gli errori per poter creare vini che possano rappresentare il futuro.

Nel catalogo 2020 troveremo ancora una volta le storie, i volti e i vini di ciascuno vignaiolo europeo della nostra selezione, che attualmente rappresentano sia l’attuale modo di fare ma soprattuto il futuro, di come speriamo che le cose possano sempre migliorare.

Buona Lettura!

Grazie Marino <3

Come
i cuccioli amorevolmente allevati e naturalmente disconosciuti, così
la vite.

Questo breve scritto non
ha nessun intento critico o accusatorio per niente e per nessuno. E’
un semplice auspicio.

Avviene, da 20 anni. Il
mosto fermenta, gli zuccheri si trasformano in alcol e, sorpresa, i
batteri malici, di conserva ai lieviti, lavorano e trasformano in
lattico l’acido malico. In contemporanea.

“Improbabile” la
prima reazione. “Pericoloso” la seconda. Ma è “innaturale”
……..………..

La soluzione: “la
prossima fermentazione si inocula solforosa, si stabilizza il mosto
ecc. ecc. e vedrai che tutto torna alla normalità.”

Quale normalità? La
nostra, quella stabilita dalle nostre esperienze, o quella del vino?

E’ un breve colloquio
tra un produttore di vino e un tecnico. Il produttore chiede
semplicemente perché ciò avvenga. Non desidera altro. La risposta è
la soluzione. La soluzione di un problema che non esiste. Il
produttore apprezza il vino così. La domanda è semplice “perché
avviene?”.

La pianta produce, oltre
che frutti, rami e foglie. Ne fa un determinato quantitativo. Alla
pianta serve quel quantitativo.

Eppure la potiamo, la
defogliamo e di più. Per i nostri fini.

Ma con quale conoscenza
procediamo. Con la conoscenza delle nostre esperienze. Procediamo con
il fine di produrre il meglio senza conoscere la pianta e le sue
capacità.

E ci chiediamo: alla
pianta farà piacere? A quella pianta, l’unica in grado di fare
quel frutto. E, essendo l’unica in grado di fare quel frutto, non
lo farà al massimo delle sue capacità?

Un’agricoltura più
sensibile al mondo delle piante (molto più antiche della nostra
razionalità) potrebbe dar vita ad un nuovo percorso, anche per noi.

Sarà solo un sogno,
potrebbe essere, ma è anche una spinta ad avvicinarsi, a leggere,
interagire con questo mondo vegetale. Sognare un tempo in cui noi e
quel mondo arboreo potremo parlarci, spiegarci, senza secondi fini.

Il
“perché” fine a sé stesso non è più contemplato. C’è un
obiettivo, colturale, economico o altro che strumentalizza e
finalizza ogni attività, anche la ricerca. Possiamo avere una
scienza pura fine a sé stessa?

L’
innocenza della scienza.

In questo catalogo si
parla di vino. Che c’entra tutto questo?

Il mondo del vino (non
aggiungo aggettivi per non creare irritazioni) si pone queste
domande. Tenta vie nuove. Non è il mondo del vino imperfetto e
cialtrone spesso raccontato e davvero banalizzante. E’ il mondo di
una ripresa di coscienza, di conoscenza nuova e non limitata al
nostro essere e ai nostri fini.

Non conosciamo a fondo il
mondo dei lieviti e dei batteri. Lasciamoli lavorare in pace. E’ il
meglio che possiamo ottenere e aspettiamo di conoscerli.

Abbiamo la modestia di dirci che non sappiamo fare un grappolo d’uva. Non sapendolo fare, possiamo “insegnare” come fare? Al momento non è così. Allora lasciamo il più possibile in libertà quella pianta. Chissà quali sorprese ci darà. Di sicuro ci darà il massimo.

WHAT COMES AFTER?

3 Dicembre 2019

La presentazione ufficiale del nostro CATALOGO 2020!

QUANDO: Lunedì 10 Febbraio

DOVE: Roma, presso la sede di Sviluppo Horeca Factory, via A. Pacinotti 63

COME:

Ore 10 – 10,30 Accoglienza e registrazione

Dalle ore 10,30 fino alle 13. Convegno con: 

  • Gianpaolo Giacobbo  (wine writer, docente, consulente) che assumerà il ruolo di moderatore.

… COSA VIENE DOPO?

Ecco che cosa ci siamo chiesti:

“Non di solo vino vive l’uomo. Pensiamo che il vino sia la conseguenza di un modo di essere e di vivere. Sentiamo l’esigenza di comunicare il pensiero, i sogni e a volte le incertezze di donne e uomini che ogni giorno si impegnano per dare valore alla propria terra. Persone che combattono per dare dignità al lavoro del vignaiolo che è parte dell’essere umano. 

Il nostro nuovo Catalogo nasce con un interrogativo su ciò che siamo stati e su ciò che saremo, che vuole però anche rappresentare un “fare”.

Ci riteniamo portavoce di un movimento che agisce con convinzione da decenni e che porta con sé anche l’idea di pensare ad un futuro. Non quindi vini del passato, ma ispirati ad esso, vini che possano raccontare il futuro. 

Nel Catalogo 2020 troverete le i volti e i vini dei vignaioli, i pensieri dei racconta storie, degli osti e di noi commerciali che rappresentano il futuro come lo sogniamo.”

  • Dalle ore 14 degustazione guidata di 30 vini, suddivisi su tre banchi d’assaggio.

SOLO PER OPERATORI DEL SETTORE E SOLO SU INVITO (da parte dei nostri agenti).

MASSIMO UNA PERSONA PER LOCALE. 

80 POSTI DISPONIBILI.

CONFERMARE LA PRESENZA CON I NOMINATIVI DEI PARTECIPANTI VIA MAIL A: arke@vininaturali.it

Il nostro Catalogo da molti anni dedica la parte finale ad una rubrica che noi chiamiamo ”Gli amici di arké ”
per il valore intrinseco che ci lega ad ognuno di loro, un mix tra
stima ed amicizia, vero motore capace di creare connubi magici.

Quest’anno abbiamo deciso di chiedere a 6 Chef italiani
quale fosse il loro vino preferito e quale piatto della loro cucina ci
avrebbero abbinato, ed abbiamo scoperto che a parlare sono sempre i
ricordi e le emozioni.

Loro sono Chef con la C maiuscola che hanno scelto di collaborare felicemente ed attivamente con il mondo del vino naturale, e ne traggono moltissimi benefici, in quanto la realtà è più semplice di quanto si immagini: il vino buono ( fatto come si deve, senza troppi artifici ) ben si sposa ed esalta ulteriormente la buona cucina. Punto. Nient’altro da aggiungere.

Lo Chef con Astice nostrano

Pier Luigi Di Diego Classe 1967, intraprende fin da giovanissimo la strada dell’arte culinaria. Padre e madre abruzzesi gli trasmettono la cultura della buona tavola fatta di genuine materie prime. “Sono cresciuto in un piccolo appartamento dell’interland milanese dove i miei genitori si sono trasferiti dopo varie migrazioninel nord Europa. Vivevamo fra mille ristrettezze, ma idue frigoriferi – principale arredo della casa! – eranosempre stipati di leccornie prelibate.Il piatto che abbiamo scelto è nato nel “Primo” localedi proprietà il “Don Giovanni” nel 1999/2000.Dal desiderio di utilizzare una materia prima povera incrudità e pensando di accostare alla sapidità del mare,un elemento molto dolce quale un pomodoro confit.Il Don Giovanni fu a Ferrara il primo locale a proporre la crudità di canocchie ed anche il primo a proporre ivini naturali nel lontano 2002. E dopo soli 4 anni, con il riconoscimento dell’ambita Stella Michelin, divenne ristorante di qualità nel panorama della ristorazione italiana. Da allora la carta vini si è sempre più aperta sul naturale arrivando ad una cantina di quasi 600 etichette al 90% naturali.Anche nel nostro nuovo locale “Manifattura Alimentare” la filosofia è la medesima. Nel nostro caso l’abbinamento cibo/vino nasce dall’unione delle nostre passioni con l’unico intento di esaltare il gusto mantenendo l’identità nel piatto e nel bicchiere.

Pierluigi ha scelto un vero fuoriclasse per abbinare la sua creazione, uno dei migliori metodi classici che abbia mai assaggiato. Particella 128 di Vanni Nizzoli, vignaiolo a Puianello in Emilia-Romagna nella sua azienda agricola Cinque Campi: 100% spergola fatta fermentare per due giorni a contatto con le bucce, sboccato e ricolmato con la sola aggiunta di vino. Una lama di gusto!

Ecco il vero regalo per voi, la ricetta direttamente dalla cucina di Manifattura Alimentare:

IL PIATTO:

16 canocchie grosse / 4 pomodori maturi2 spicchi d’aglio affettati 10 gr di timo fresco5 gr di zucchero / 20 cl di olio e.v.o.foglie di basilico q.b. / ale e pepe al mulinello q.b.poco aceto rosso / pesto di olive taggiasche q.b. pestoal basilico q.b. / pesto di pomodori essiccati q.b

PROCEDIMENTO:

Il pesce:

Aprire e sgusciare le canocchie a crudo; metterle su unpiatto di sasso a c.ca 35°C, irrorare con olio, sale, pepee qualche goccia di aceto e erbe aromatiche fresche. Lasciare in questa marinatura per 3’.

Per i pomodori canditi:

Sbollentare e pelare i pomodori, e disporli a fette su una placca con carta da forno con olio e timo, e mettere una fettina d’aglio fine su ognuno; aggiungere sale, pepe e zucchero e qualche rametto di timo. Lasciare appassire in forno a 90°C per c.ca 140’.

Particella 128 di Az. Agr. Cinque Campi

IL VINO:

L’acidità e la sapidità della Spergola in purezza del vino Particella 128 di Cinque Campi si sposa bene conla sapidità della canocchia e l’acidità del pomodoro.Vino piacevolmente fresco alla beva, nonostante la macerazione, è sicuramente un ottimo abbinamento per questo antipasto freddo di mare.

Pierluigi e il pesce nostrano

Una delle nostre collaboratrici e appassionate Emanuela Sanavio ha visitato l’azienda Podere San Biagio durante il periodo delle vendemmia e ci ha regalato questo piccolo racconto che vogliamo condividere con voi:

Jacopo Fiore cresce a Controguerra, paesello romantico con i suoi saliscendi fatte di vigne e colline tra le Marche e l’Adriatico, dove il panorama si apre ai piedi del Gran Sasso, i monti Sibillini e le montagne Gemelle accanto, ” il mare è a due passi, in 20 minuti di auto puoi fare un bagno tra le onde”, dice.

Fin da piccolo respira la terra e sebbene in gioventù abbia girato l’Italia impegnato con la musica e l’arte dei tattoo, alla fine l’amore e il rispetto per questi luoghi hanno avuto la meglio, riportandolo letteralmente alle radici con l’idea di mettersi a fare del buon vino.

Jacopo Fiore

Antonietta e Pietro, madre e padre di Jacopo, iniziano negli ormai lontani anni 80 a muoversi nell’agricoltura biologica, un mondo allora senza regole, con la produzione di cereali autoctoni. Nel 1994 dal recupero di un casale del 1800 nasce l’agriturismo e nel 2000, quando Jacopo ritorna a casa, iniziano i lavori che daranno origine alla cantina.

Lungo i fianchi delle colline, attorno al podere, crescono Malvasia, Passerina, Pecorino, Trebbiano, Montepulciano e poco Cabernet. La vigna è davvero molto bella ma è osservandola dal laghetto rivolto alla cantina che assume un’aria poeticamente selvaggia. Ed è proprio qui che si può percepire un ecosistema unico con il suo respiro solenne.

Jacopo sa come muoversi senza che passi un istante in cui il suo pensiero non sia rivolto al vino, alla cantina o alla vendemmia per capire quando sia il momento perfetto per raccogliere. Pietro, il padre invece è il saggio mentore, consapevole del fatto che quando parte la fermentazione anche suo figlio ha bisogno di ossigenarsi, per poter dare il meglio di sè in qualità di “artista vignaiolo” perchè è questo che fanno i vignaioli, creano capolavori da ciò che la natura dona.

la vigna
il laghetto
i morbidi fianchi delle colline attorno
gli uccellini che nidificano in vigna
grappolo rosa

I loro vini sono speciali e voglio raccontarveli in chiave diversa, perchè i vini quando vengono bevuti dove nascono regalano sempre emozioni più intense o semplicemente “diverse”:

Migrante è il pecorino sbarazzino in grado di comportarsi bene a tavola con tutti, proprio come Briscola e Tresette, un cerasuolo d’Abruzzo che non mente e gioca a carte scoperte regalando freschezza e acidità.

Cafone è il Montepulciano d’ Abruzzo che “cà fune” ti lega a sé, un vino che non si scorda per freschezza e bevibilità, con i suoi pochi giorni di macerazione in acciaio che esaltano tutte le peculiarità del vitigno.

E infine c’è la Sgarzella, passerina frizzante e di pronta beva, fatta rifermentare in bottiglia con il mosto. Una bottiglia che sa dissetare con leggerezza.

Impossibile infine non citare Antonietta, caposaldo del Podere, donna di riferimento e voce autorevole, dalla cucina alla cantina. Figura dolce e rispettosa, è lei il vero cuore pulsante dell’azienda. Anche perché senza i suoi buonissimi piatti dai sapori vigorosi sarebbe molto più difficile per gli uomini alzarsi e andare a sgobbare in vigna per quello che, è un prodotto che racconta lo spirito di una famiglia, e che lo continuerà a fare, tessendo nuovi intrecci e nuove storie.

Emanuela

Lunedì 20 Maggio 2019 al Golden View, Firenze

 

A volte ritornano! Giochi e passioni che si intrecciano e ci vedono spettatori-protagonisti in questo mondo del vino, sempre pronto a regalare emozioni diverse e inaspettate.

Quindi eccoci qui di nuovo, nuova grafica ma stessi contenuti e stessi scopi.

 

Mosca cieca: chi non ci ha mai giocato?

La mosca cieca è un tradizionale gioco diffuso in molti paesi del mondo. Lo si gioca all’aperto o in una stanza abbastanza grande vuota. Un giocatore scelto a sorte viene bendato (e diventa quindi la “mosca cieca”) e deve riuscire a scovare gli altri, che possono muoversi liberamente all’intorno.

Noi abbiamo pensato di riproporvi il mood del classico gioco, ma con nuove regole e un solo uno scopo finale:

mettersi alla prova,

abbandonando gli schemi che possono interporsi a livello mentale e sensoriale quando si assaggiano i vini e imparare ad usare il proprio “cassetto della memoria”.

Che cosa intendiamo?

Qualsiasi cosa mangiamo e beviamo finisce nel nostro cassetto della memoria, una libreria piena di sapori, profumi e ricordi che son ben catalogati nella nostra mente e che dobbiamo solamente esercitare ed imparare come utilizzarla, e il miglior metodo è esercitarsi con le degustazioni alla cieca.

Mosca Cieca però non sarà solamente “gioco degustativo” ma un’importante momento di formazione, dove con preziose nozioni di esperienza, fornite da diverse figure del mondo del vino naturale vi insegneremo come meglio raccontare i nostri vini.

Vignaioli, sommelier, agenti, enotecari, ristoratori…ognuno con il proprio bagagli di esperienze assieme in un’unico convegno dedicato al vino naturale.

 

Siamo pronti per “giocare” con voi!

 

Lunedì 20 Maggio 2019 al Golden View, Via de Bardi 58r, Firenze

 

Dalle ore 15 alle 18. Presentazione del Catalogo e degustazione.

Solo su invito e solo per operatori del settore. A numero chiuso.

 

Il programma della giornata:

Ore 14.30 accoglienza ed accredito degli invitati

Ore 15.00 inizio del convegno a cura di:

  • Gianpaolo Giacobbo, collaboratore diretto di Arké: introduzione ai vini naturali e loro filosofia produttiva, presentazione del Catalogo 2019.
  • Filippo Petrolini, agente su Firenze: i vini naturali ed il loro mercato; la presentazione ed il servizio nei ristoranti e wine bar.

 

Proseguirà la degustazione guidata di 20 vini della selezione Arké, tutti serviti “alla cieca”.

 

Ore 18,30 – 20,30 Aperitivo punk al bancone del Golden View. Aperta al pubblico.

Selezione musicale abbinata ai vini in mescita a cura di Giampaolo Giacobbo.

 

 

 

Torniamo in Piemonte per incontrare i nostri produttori, per assaggiare le vasche delle nuove produzioni e per respirare il loro sapere da trasmettere in giro per lo stivale. Usciti dall’autostrada i cartelli stradali che indicano i paesi i vari villaggi fanno emergere un’emozione che si rinnova ogni volta che arriviamo nelle zone vocate del vino.  Giungiamo nella denominazione del Barbaresco, da sud entriamo nel Cru delle Roncagliette tra le Roncaglie e il vigneto Roccalini, un’area passata alla storia grazie ad Angelo Gaja che qui possiede le vigne di Sorì Tildin e Costa Russi, le vigne che hanno permesso al Barbaresco di diventare tra i vini più conosciuti al mondo.

 

In questo contesto  si trova la cantina “La Berchialla” di Olek Bondonio e famiglia. Da qui si gode una   vista a trecentosessanta gradi sulla denominazione che definiremo didattica. A Nord il paese di Barbaresco con i cru, tra gli altri, di Asili, Moccagatta, Rabaja mentre verso sud Treiso, Neive dove Olek possiede il vigneto di Starderi e sullo sfondo il crinale di Barolo da cui spicca La Morra a cui arriveremo più tardi. Il vigneto le Roncagliette fa emergere la natura del suolo che Olek ci spiega essere di orgini antiche e per questo così vocato. Nato per sollevamento del mare, è molto ricco di argilla, calcare e microelementi che donano struttura e finezza al suo nebbiolo. Entriamo nella cantina dapprima tra le vasche in acciaio per assaggiare la Barbera, il Dolcetto e la Pelaverga, il vitigno autoctono a rischio di estinzione ma tenuto con tenacia alla Berchialla, ma in particolare dalla signora Lisetta Burlotto, suocera di Olek. I vini in acciaio sono già molto godibili e aperti anche in questa fase iniziale, un’annata calda e generosa che dona vini di facile lettura.

Nella stanza accanto entriamo dove giacciono le botti in legno, per degustare i Cru di Nebbiolo, quelli sotto la casa la Roncaglietta e poi lo Starderi a Neive. Olek è molto attento in vinificazione, e sente molto la responsabilità che una denominazione come quella di Barbaresco gli impone nell’interpretazione di questo vino. E’ consapevole della grande nobiltà che questi terreni possono apportare al prodotto finito, ma è altresì consapevole del fatto che il delicato passaggio della vinificazione debba essere fatto con rispetto anche di chi il vino poi lo beve. Un nebbiolo su queste terre gli consente di operare con sicurezza, Olek ha le idee molto chiare e sa bene cosa vuole e come ottenerlo. La vinificazione è spontanea e senza solfiti aggiunti, non ci sono filtrazioni o aggiunte di qualsiasi natura, ma solo tanta attenzione e pazienza. L’affinamento avviene in botti tra gli 11 e i 16 ettolitri di produzione austriaca.

 

Dopo qualche assaggio la fame si fa sentire e ci dirigiamo verso il ristorante del Real Castello di Verduno, di proprietà della moglie Alessandra Buglioni. La porta di legno d’ingresso è lavorata, importante, con un po’ di fantasia si può immaginare un volto che scruta il nostro ingresso immersi in un clima ovattato quasi sussurrato, sicuramente fiabesco. In cucina la signora  si fornelli ci  dona una sensazione di sicurezza, quasi materna. Le grandi stanze fanno ben intendere l’idea di imponenza che un castello come questo voleva comunicare nei tempi addietro sebbene l’arredamento caldo e i colori delle pareti, restituiscano un clima famigliare e accogliente. Alle pareti l’arte la fa da padrona. Prendiamo posto nel tavolo rotondo apparecchiato solo per noi, davanti ad una grande e luminosa finestra.  Un pranzo che difficilmente dimenticheremo, con sapori autentici sapientemente preparati. La prima pietanza è una incredibile testina di manzo bollita e servita con una cremosa salsa di peperoni, poi le trippe in umido e olive, quindi un bel pezzo di formaggio affinato nelle vinacce del nebbiolo e per finire le pere al forno gustosissime.

In anteprima degustiamo la nuova entrata il rosso Carolina, 80% barbera 20% dolcetto senza solfiti aggiunti, un vino molto piacevole e delicato, la barbera da queste parti è più gentile, emerge la parte salina conferita dal terreno che dona bevibilità.

Il Barbaresco Roncagliette 2016 (in uscita la prossima primavera) dal colore  rosso mattone al naso è molto elegante dal tratteggio fine da cui emergono sentori floreali e ciliegia selvatica, mirtillo e tratti balsamici freschi, al palato è elegante, dotato di una tessitura fine con i tannini ben composti e bella persistenza gustativa. Un grande Nebbiolo.